Appello per le madri in carcere e per i loro figli

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In occasione del convegno sul tema dei bambini nelle carceri, organizzato nella capitale il 14 gennaio scorso, presso il Museo storico della Liberazione di via Tasso, a cura del Comitato Madri per Roma città  aperta (vediPrima le donne e i bambini, ndr), è stato redatto unAppello al ministro della Giustizia e al ministro dell’Interno sulla condizione delle madri in carcere e dei loro figli.

Occorre vigilare affinché, finalmente, dal 2014 – come sembra – sia possibile disporre di case protette o simili per accogliere, in sostituzione delle carceri, i bambini e le loro madri, e soprattutto che tali strutture siano già  state individuate e pronte per essere utilizzate. In fondo si tratta di numeri non molto elevati e non dovrebbe essere difficile approntare poche decine di appartamenti adatti allo scopo. Molto doloroso, invece, sarebbe se, a causa della consueta “disorganizzazione” o indifferenza, coloro che ne dovranno usufruire dovessero restare in carcere in attesa di un “lento” allestimento degli spazi previsti. Sperando quindi venga realizzata davvero e con efficienza tale ricollocazione di detenute e loro bambini, intanto pubblichiamo di seguito l’appello del Comitato Madri per Roma città  aperta.

Appello al ministro della Giustizia e al ministro dell’Interno sulla condizione delle madri in carcere e dei loro figli

Le donne e gli uomini che il 14 gennaio 2012 hanno partecipato presso il Museo storico della Liberazione di via Tasso a Roma all’incontro su questo tema si rivolgono a lei perché consideri con particolare attenzione e sensibilità  quanto segue. Le donne rinchiuse in carcere attualmente in Italia sono circa 2.600, il 4% dei detenuti. Di queste poco più di 60 sono internate insieme ai loro figli che ad oggi risultano essere 70, di età  inferiore ai 3 anni. Le detenute in stato di gravidanza oscillano intorno alle 20-30 unità . In Italia sei sono le carceri interamente femminili e sedici gli asili nido funzionanti.

Molti studi condotti sulle donne detenute in Europa e in Italia sottolineano che la tipologia prevalente dei reati commessi dalle donne – violazioni della legge sulla droga e contro il patrimonio – rende chiara la marginalità  che spesso segna le loro vite; le donne sono spesso recidive e ritornano in carcere per ripetuti e brevi periodi. Il problema delle detenute non è tanto quantitativo ma qualitativo. Le donne hanno molti più problemi nell’affrontare la detenzione, problemi che investono sia la sfera psicologica che quella materiale; la vita detentiva, sviluppatasi su criteri espressamente maschili, mette a dura prova le donne in generale e si aggrava se le stesse sono madri.

Quasi inesistenti sono le considerazioni di quanto la vita carceraria influisca sulla maternità , sia che i figli siano dentro il carcere, sia che siano fuori, troppo poca è l’attenzione di istituzioni e società  ai motivi stessi, spesso legati alla loro specificità  femminile, che portano le donne in carcere, troppo poca è l’attenzione all’impatto che il carcere ha sulle donne e sulla loro vita. Una maternità  interrotta quella nelle carceri, così come interrotta è l’infanzia di quei bambini che tra 0 e i 3 anni vivono reclusi nel carcere, così come segnata per sempre è la vita dei figli fuori con le madri in carcere. Per la società  e le istituzioni questi figli dietro e fuori le sbarre restano invisibili come le loro madri.

Oggi è ancora difficile parlare di maternità  in detenzione. Le donne detenute vengono considerate cattive madri e incapaci di portare avanti il proprio ruolo materno e così sulle loro maternità  cala il silenzio. La legge consente alle madri di tenere presso di sé i figli fino all’età  di tre anni, ma il carcere, anche nelle strutture in cui sono state realizzate sezioni nido, rimane un luogo incompatibile con le esigenze di relazione tra madre e figlio e di un corretto sviluppo psicofisico del bambino stesso. Non vi è dubbio che la detenzione domiciliare sia una modalità  meno afflittiva di esecuzione della pena.

Appare, quindi, opportuno quanto necessario estendere le tutele previste per le madri detenute e garantire a ogni bambino la continuità  dei rapporti con i propri genitori laddove si consideri che sono 800.000 in Europa i bambini figli di genitori detenuti di cui 43.000 sono italiani. Non si tratta quindi di un piccolo problema, eppure sono ancora molto piccole, molto limitate le realtà  organizzate che si occupano in Italia di garantire a ogni bambino la possibilità  di salvare, non interrompere, non veder disintegrare i rapporti con i suoi genitori.

«La pena», dice l’art. 27 della Costituzione Italiana, «non deve mai consistere in trattamenti contrari al senso di umanità ». Una pena che divide traumaticamente una donna da suo figlio o li costringe all’unione solo in condizioni di restrizione, è una pena disumana non soltanto per una, ma per due persone.

Anche l’Europa è intervenuta sul tema con una sua ricerca alla quale fa riferimento la proposta dell’associazione Antigone e di altre associazioni europee, dal titolo Resolution on socio-labour reinsertion of female ex prisoners. In questa elementi relativi alla condizione femminile nelle carceri vengono indicati come obiettivi da perseguire dagli Stati europei, come ad esempio che la detenzione per le donne deve essere considerata come ultima soluzione o che è necessario promuovere misure alternative e sostitutive alla detenzione in particolare per donne con bambini, favorire i regimi detentivi aperti per le donne e che ogni stato membro dovrebbe promuovere ricerche, studi e riflessioni sui bisogni specifici delle donne detenute.

Le chiediamo, signora ministro, di adoperarsi nei modi che riterrà  più efficaci affinché quanto richiesto alla Comunità  Europea si possa attuare in Italia. Affinché nessuna madre e nessun bambino siano più dietro le sbarre.

L’appello è già  stato inoltrato ai ministri a cura del Museo storico della Liberazione di via Tasso – Roma


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