Da Ulisse ai Barconi Libici in Balia del Mare per Colpa o Malasorte

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La più celebre deriva della storia è quella della zattera della Medusa, la fregata francese diretta in Senegal e arenatasi su un banco di sabbia al largo della Mauritania. È il luglio del 1816, mentre ufficiali e passeggeri vengono imbarcati su scialuppe, quasi 150 fra marinai e persone senza importanza si ammucchiano su una zattera lunga venti metri e larga sette che viene abbandonata in mare aperto. Dopo quindici giorni, i superstiti (15 solamente) saranno tratti in salvo. Si scoprirà  che su quel relitto si erano verificati episodi di cannibalismo, suicidi, violenze. Immortalata dal celebre quadro di Théodore Géricault, la tragica zattera è diventata l’emblema dei drammi del mare. Con i necessari corollari di un capitano incapace e di una disumana gestione dei salvataggi che si occupa dei privilegiati e lascia al proprio destino i poveri diseredati. Un copione che purtroppo sembra ripetersi, implacabile. Come nei terribili naufragi dei barconi di clandestini nel canale di Sicilia che hanno funestato i nostri ultimi anni.
Derive e naufragi occupano da sempre l’immaginazione, e popolano le più grandi pagine della letteratura. A cominciare dall’Odissea, con i molti disastri che si abbattono sulle navi con cui Ulisse lascia Troia per tornare a Itaca, perseguitato dall’ira di Poseidone (che è come dire accompagnato dalla malasorte che, come sanno i marinai, è qualcosa contro cui difficilmente si può combattere: e se fosse, oltre a tutto il resto, anche un malocchio tremendo quello che si abbatte sulla Costa Crociere?). Anche Ulisse si ritrova su una zattera, sbattuto dalle onde sull’isola dei Feaci.
Una maledizione pesa anche sul veliero su cui è imbarcato il Vecchio marinaio cantato da Samuel Taylor Coleridge (1798). Proprio lui, il marinaio, ha ucciso l’albatro che li accompagnava, e così la nave finisce sotto un sole cocente, senza guida né governo. Solo l’intervento soprannaturale degli angeli potrà  salvarlo, e riportarlo al suo paese dove racconterà  la sua avventura, per ricordare a tutti i pericoli e le insidie di chi mette la sua vita in balia delle onde. Colpa e sventura si rincorrono in tutte le storie di mare. Come in Lord Jim, il grande romanzo di Joseph Conrad, lunga e dolorosa ricerca di espiazione da parte dell’ufficiale — nel film era Peter O’Toole — che non si perdona di aver abbandonato la nave con a bordo tutti i passeggeri. 
Poi, ingigantita dalle fortune cinematografiche del film multi-Oscar di James Cameron (1997), c’è naturalmente la vicenda del Titanic, forse il disastro di mare più raccontato della storia. Ricco di romanzeschi episodi, veri o immaginari (come la love story del film), e per l’orchestra che continua a suonare mentre il bastimento affonda, modo figurato per descrivere l’incoscienza di quanti godono e si divertono mentre il mondo crolla intorno a loro. 
Ma il Titanic ci ha lasciato anche il triste elenco di quelli che, relegati nelle classi inferiori, furono impediti di cercare un mezzo per salvarsi, come ci ha ricordato nella sua dolceamara ballata Francesco De Gregori.
Anche le canzoni, è vero, ci parlano spesso di naufragi e disastri di mare. A volte sono povere barche di pescatori (E la barca tornò sola), altre invece bastimenti da crociera (Onda su onda, con il passeggero caduto in mare che trova il paradiso in un’isola lontano da tutti), ma c’è anche — Vinicio Capossela, SOS dei naufragati — la storia dei disperati che cercano di arrivare in Italia fuggendo da fame, paura e guerre, e troppo spesso vanno incontro a una morte orrenda.
Ma le navi della Costa, si sa, sono navi da crociera, per gente che vuole divertirsi e fra un approdo e l’altro hanno a disposizione palestre, cinema, sale da ballo, casinò e tutto quel che si vuole. Perciò è ancora più grottesco il fatto che proprio su questi viaggi all’insegna della spensieratezza si abbatta la sventura. Una cosa che il cinema cosiddetto catastrofico aveva già  immaginato e profetizzato. Con l’epopea sinistra del Poseidon, portata per ben due volte sugli schermi. Con l’idea un po’ bacchettona di mostrarci che anche i ricchi piangono, o meglio, affogano. Tutto poi si risolveva, nei due film, in una sorta di rituale scaramantico (era già  successo con i film sui disastri aerei, tipo Airport, e non risulta che dopo quelle pellicole il numero di persone che comprava biglietti di aereo sia crollato), mostrando che comunque qualcuno si salva sempre, e che poi, in fondo, era solo cinema.


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