Germania contro Italia

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Paradossalmente è stata proprio la Germania, che finora si è strenuamente sottratta all’obbligo teoricamente cogente di indennizzare le vittime, a citare l’Italia davanti al tribunale istituito dalle Nazioni unite nel dicembre 2008, sostenendo che le pronunce della nostra corte di cassazione violerebbero la sovrana immunità  dello stato tedesco dalla giurisdizione di altri paesi.
Ancora più paradossalmente, il ricorso all’Aia è stato deciso in combutta col governo Berlusconi, con tanto di comunicato congiunto sul comune interesse a un autorevole «chiarimento» sull’immunità  degli stati, mentre il ministro degli esteri Franco Frattini definava «pericolosa» per la stabilità  dei rapporti internazionali la giurisprudenza della cassazione: dove si sarebbe andati a finire se ogni privato cittadino che si ritenesse danneggiato da crimini di guerra potesse ricorrere in giudizio contro gli stati colpevoli?
Stranezza nella stranezza: nonostante l’enormità  di questa palese combine tra due governi eredi dell’Asse nazifascista, a tutela della propria comune impunità  – anche l’Italia ha perpetrato nella seconda guerra mondiale, in Jugoslavia, Grecia, Russia e Albania crimini orrendi mai perseguiti – i nostri media hanno praticamente ignorato la vicenda. Rarissimi gli articoli di giornale sull’andamento della procedura, sul dibattimento svoltosi nel settembre scorso con l’intervento anche della Grecia, come parte interessata all’oggetto della contesa. E adesso che la decisione verrà  pronunciata, venerdì 3 febbraio, la stragrande maggioranza degli italiani cadrà  dalle nuvole: «L’Aia che?». Non pochi saranno seccati: «Uffa, ancora con ‘ste vecchie storie, a 66anni dalla fine della guerra?».
Invece la causa Germania contro Italia (e Grecia) è un preziosissimo prisma per mettere a fuoco tutti gli anacronismi, tutte le schizofrenie dell’incompiuta costruzione che chiamiamo Europa. Mentre la cancelliera Merkel pretende dagli altri paesi dell’euro ulteriori rinunce di sovranità  sui propri bilanci, e il suo ministro delle finanze Schà¤uble prende addirittura a schiaffi la sovranità  greca proponendo di mandare a Atene un “commissario” con diritto di veto su ogni spesa, la Germania si batte per blindare la sua sovrana impunità  da ogni rimostranza delle vittime degli eserciti del Reich? Mentre la Nato se ne infischia della sovranità  di stati carogna, se e quando le pare opportuno intervenire in nome die diritti umani, vogliamo ergere barriere inviolabili a tutela delle prepotenze, degli abusi, delle violenze degli strati per bene?
L’idea dell’unione europea è nata nei lager nazisti, dalla fraternità  sperimentata tra i deportati di tutte le lingue. Ha preso corpo nelle file della resistenza, dove in Italia combattevano, fianco a fianco, anche disertori tedeschi e piloti inglesi scampati alla prigionia. Ma la prassi comunitaria è poi stata usata come alibi per mettere la sordina sul passato, per nascondere i fascicoli d’indagine sulle stragi negli armadi della vergogna: siamo alleati, todos caballeros, scordiamoci il passato. E adesso che dovremmo fare un balzo in avanti verso l’unione politica, con un governo federale democraticamente responsabile verso il parlamento europeo, i nodi irrisolti vengono al pettine e rischiano di ricacciarci indietro. I risentimenti tornano a galla. L’edificio vacilla, perché più che sulla giustizia l’abbiamo costruito sulla rimozione, sull’impunità .
Non dobbiamo farci fuorviare dall’intestazione della causa all’Aia, «Italia contro Germania». Le linee di conflitto non passano tra le nazioni, ma al loro interno. In Germania ci sono fior di giuristi che ritengono pazzesco rivendicare – contro gli sviluppi più promettenti del diritto internazionale – una forma pressoché assoluta di immunità  sovrana, anche dentro l’Europa dove pure si vorrebbero armonizzare i codici in uno spazio giuridico comune. È un tedesco l’avvocato Joachim Lau, che da Firenze si batte da decenni per i diritti delle vittime italiane dell’occupazione nazista. In Italia ci sono stati negli anni ’50 e ’60 ministri e magistrati militari alacremente impegnati a insabbiare. Abbiamo avuto un governo Berlusconi che, non contento di stendere un tappeto rosso al governo di Berlino sulla via della corte di giustizia internazionale, a preparato un bel decreto che sospendeva tutti gli atti esecutivi disposti in Italia in vista del rimborso delle vittime fino alla sentenza della corte dell’Aia. Questa ignobile leggina blocca-risarcimenti sarebbe scaduta il 31 dicembre scorso. Ssiccome la sentenza sarebbe arrivata dopo, il governo Monti si è precipitato a prolungarne la vigenza col decreto «milleproroghe». 
Ma in Italia abbiamo avuto anche procuratori militari come Marco De Paolis che hanno ripreso a lavorare seriamente sulle stragi nazifasciste. Ottenendo sempre più spesso, con le sentenze di condanna degli ex militari tedeschi contumaci, anche richieste di risarcimento per i familiari delle vittime. E abbiamo avuto giudici alla corte di cassazione che, contravvenendo ai pareri spesso «filotedeschi» dell’avvocatura di stato, hanno dichiarato obsoleta la tradizionale dottrina dell’immunità  sovrana. 
La sentenza che ha fatto infuriare i governi tedeschi, prima quello rosso-verde del socialdemocratico Schrà¶der, poi i due gabinetti di Angela Merkel, quello di grande coalizione e quello attuale di centro-destrra, la cassazione l’ha scritta nel 2004, dando ragione a Luigi Ferrini, deportato nel 1944 a 17 anni e rinchiuso a costruire armi nelle gallerie sotterranee del lager di Kahla in Turingia, difeso dall’avvocato Lau. La corte ha concluso che l’immunità  dello stato tedesco dalla giurisdizione italiana cessa, laddove si tratta di gravi crimini di guerra e di crimini contro l’umanità , come la riduzione in schiavitù. Questo è, a loro avviso, «il punto di rottura dell’esercizio tollerabile della sovranità ».
La cassazione ha perseverato, confermando successivamente i risarcimenti per i familiari delle vittime della strage nazista di Civitella, in Toscana. Ha poi anche riconosciuto il diritto dei sopravvissuti greci della strage nel villaggio di Distomo, anche loro rappresentati dall’avvocato Lau, a rivalersi su beni tedeschi in Italia. In Grecia la sentenza a loro favore non poté essere eseguita perché il governo dell’epoca negò l’autorizzazione politica richiesta dalla normativa di quel paese. In Italia, a garanzia delle pretese di Distomo, è stata iscritta un’ipoteca giudiziale sugli edifici del centro studi di Villa Vigoni, proprietà  del governo tedescvo sul lago di Como. E sono stati sequestrati i crediti della Deutsche Bahn presso Trenitalia, crediti alimentati dalla vendita di biglietti ferroviari su tratte internazionali.
Il governo tedesco avrebbe potuto rassegnarsi, e pagare. La somma complessiva che gli viene chiesta è nell’ordine di qualche centinaio di milioni di euro, noccioline in confronto alla girandola di miliardi in gioco tra aiuti alle banche e meccanismi di stabilizzazione monetaria. Invece ha preferito la guerra giudiziaria. Alla corte dell’Aia chiede di condannare l’Italia per «violazione del diritto internazionale», perché, consentendo a privati cittadini di citarla in giudizio, avrebbe contravvenuto agli obblighi di rispettare l’immunità  della Repubblica federale tedesca. E pretende dall’Italia «misure adeguate» per bloccare l’esecuzione delle sentenze sfavorevoli.


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Il delitto perfetto

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Eccola, la vera «riforma epocale» della giustizia che il presidente del Consiglio ha sempre avuto nel cuore e nella testa. Non è il disegno di legge di revisione costituzionale di Alfano, spacciato tre settimane fa dal guardasigilli al Capo dello Stato e all’opinione pubblica come una «svolta storica». L’epifania di una nuova era, nella quale la destra rinunciava alle leggi tagliate a misura per i bisogni di un solo imputato, per tutelare quelli di tutti i cittadini. E su questa piattaforma proponeva una fase di pacificazione, chiedendo alla magistratura di scendere alle barricate, e all’opposizione di aprirsi al dialogo. 

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