La memoria consolatrice di Auschwitz

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. Si apre così L’Essenziale di Iris Hanika (Atmosphere edizioni, pp. 176, euro 15) con dei «versi composti sulla falsariga di Wunscherlute di Joseph von Eichendorff, componimento che esprime l’onnipresenza della poesia, nascosta in ogni aspetto della vita e del mondo portata alla luce dai poeti», come precisa la traduttrice in una nota in calce alla pagina. Auschwitz è presente nella vita quotidiana di Hans Frambach, il protagonista del romanzo che lavora come archivista presso l’Istituto per la gestione del passato. Si immagina di prendere la metro e, nell’ora di punta, di trovarsi in un batter d’occhio al posto dei deportati nei treni/carri da bestiame che portavano migliaia di persone nei campi di sterminio. Hans è uno fra i tanti dell’istituto che «ha una quantità  smisurata di impiegati. Devono essere così numerosi, perché anche il passato che gestiscono appare altrettanto smisurato, e non fanno rotolare nel futuro un singolo masso, come Sisifo, ma una montagna di detriti».
Il protagonista vive con infelicità  tutti i suoi momenti della vita: dalla mattina alla sera, eccetto quando sente Graziela, ovvero l’unica persona con cui ha contatti. Nel romanzo l’autrice vuole che i personaggi ricerchino «l’essenziale» delle proprie vite e forse Gabriela l’ha trovato: il sesso. Per Hans «l’essenziale» è che «un crimine per quanto grande fosse, avesse smesso di far male», non accettava che l’olocausto e gli orrori dei campi di sterminio potessero essere sviliti dai tedeschi o più semplicemente dimenticati. Non lo accetta forse anche perché lui vive con il passato ogni giorno, usa tutti i cinque sensi per rapportarsi con la memoria e forse è proprio questo che lo differenzia dalla massa. 
Il popolo si accontenta di vedere inciso i nomi di deportati su sampietrini dorati che non si possono ignorare camminando per Berlino – le «pietre d’inciampo» – o creare enormi monumenti di cemento a eterna memoria della storia. La memoria, il popolo, non sapeva cos’era: sapeva che era impotente di fronte ai crimini che la Germania aveva commesso e che aveva fatto riverberare nella storia, forse questo è «l’essenziale» per il popolo e per la società  tedesca. 
L’essenziale di Iris Hanika si potrebbe definire un romanzo circolare che inizia/finisce con i versi «rimaneggiati» di von Eichendorff; si potrebbe definire anche un romanzo di formazione dato che Hans non sa cos’è la felicità  ma trova uno stato di pseudo-felicità  proprio alla fine del libro quando è seduto in uno dei tavoli all’aperto di un caffè davanti all’Internationales Handelszentrum – «diventata Plaza grazie allo sviluppo edilizio».
Prima di arrivare a sedersi nella «Plaza» aveva camminato e camminando, anteponendo il piede destro a quello sinistro, ripensava a delle melodie, a delle canzoni sempre con qualcosa a che fare con la memoria come tema. 
Alla fine il lettore, preso dalle pagine che filano via veloci, si identifica con Hans, soffre con lui per ogni cosa che gli accade, ride quando Graziela gli risponde al telefono, piange quando lei preferisce stare con Joachim, danza appena legge il nome di Shostakovich e pensa al suo valzer n°2 e si lascia cullare dagli ottoni che lo trascinano ora a Berlino, ora in Russia.


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