La tragedia Eternit, è «disastro doloso»

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Tre ore per leggerli tutti. Un lungo elenco di nomi: intere famiglie, madri, padri, fratelli di ex operai o semplici cittadini uccisi dall’amianto. Nel silenzio quasi sacrale del tribunale di Torino, con l’appello di circa 6.400 persone – le parti civili – è iniziata la lettura della sentenza attesa da decenni che condanna a 16 anni i vetici della Eternit spa. Questo il verdetto emesso ieri dalla Corte d’Assise presieduta da Renato Casalbore nei confronti dei due imputati del più grande processo per amianto mai celebrato al mondo, gli ex amministratori delegati dell’azienda, il barone belga Jean Louis De Cartier De Marchienne, oggi 91 anni, e il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni. 
Il pm Raffaele Guariniello aveva chiesto per entrambi vent’anni di carcere, per i reati di rimozione di cautele sul luogo di lavoro e disastro doloso, per l’attività  della Eternit negli stabilimenti di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Per questi ultimi due, però, i giudici hanno dichiarato di non dover procedere perché il reato di disastro doloso è prescritto. 
«Una sentenza storica», l’hanno definita i familiari delle oltre duemila vittime di asbestosi e mesotelioma (il tipico tumore dell’amianto) che da decenni si battono per vedere riconosciuta la responsabilità  dei massimi dirigenti della multinazionale. «L’attendevamo da oltre 30 anni», ha commentato Romana Blasotti Pavesi, 83enne presidente dell’Associazione familiari vittime dell’amianto, che ha perso cinque parenti, tra cui marito e figlia. «Sono soddisfatta – ha aggiunto, ancora rossa in volto nella maxiaula 1 – ma anche triste per i morti che si dovevano evitare. Ora sono stanca, ma la battaglia non è finita. C’è la bonifica, la sensibilizzazione, ci sono i giovani che devono andare avanti». 
Ingenti anche i risarcimenti che gli imputati dovranno pagare: 25 milioni di euro al Comune di Casale, 20 alla Regione Piemonte, 15 all’Inail, 5 alla Asl di Alessandria, 4 al Comune di Cavagnolo. Ai familiari sono stati riconosciuti una media di 30mila euro. Una questione, quella dei risarcimenti, di particolare rilievo dopo il tira e molla tra Comune di Casale e i legali di Schmidheiny, che hanno offerto all’amministrazione 18,3 milioni in cambio del ritiro da parte civile. Accettata inizialmente dalla giunta, l’intesa (ribattezzata dai casalesi «proposta del diavolo») è stata contestata dai cittadini fino a che, grazie anche all’intervento del ministro della Salute Renato Balduzzi, il Comune ha deciso di dire no.
La battaglia processuale, iniziata il 6 aprile 2009 con l’udienza preliminare, e che ha visto aprirsi il processo il 10 dicembre dello stesso anno, non è però finita. I legali della difesa si dicono «sicuri dell’innocenza» dei propri assistiti e presenteranno appello. La procura annuncia invece un possibile processo bis, per contestare un reato di tipo volontario per un migliaio di decessi provocati dall’amianto, per accertare le responsabilità  di ogni singolo caso di morte. Nel processo che si è chiuso ieri si procedeva invece per disastro ambientale.
Parole di elogio al lavoro del pool di Guariniello sono arrivate dal procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli. «Una volta i procuratori generali facevano a gara per sostenere che gli infortuni sul lavoro erano mere fatalità , oggi – ha detto – le cose sono cambiate, come dimostrano i processi Thyssen ed Eternit. Il merito è del pool di Guariniello e dell’intera procura. A maggio scadranno i termini per cui molti magistrati del suo gruppo dovranno cambiare settore. Chiedo che il pool non venga smantellato». 
Ciò che rende il processo Eternit unico è soprattutto la sua portata internazionale. Ieri, come già  alla prima udienza, le strade attorno al tribunale sono diventate uno sciame di lavoratori e associazioni provenienti da tutta Italia e dall’estero. A Torino sono arrivati 24 pullman: 17 da Casale, tre dalla Francia, quattro da altre città  italiane, i familiari delle vittime di Viareggio in testa. Ma c’erano anche delegazioni da Regno Unito, Brasile, Svizzera, Belgio.
«Il segnale da dare al mondo – ha detto Nicola Pondrano, responsabile della Camera del Lavoro di Casale, ex operaio Eternit e storico leader della battaglia – è che l’amianto non va più lavorato. L’obiettivo della nostra lotta è sempre stato globale: impedire che si consumino altre stragi. Solo a Casale, dalla fine delle indagini, nel 2008, sono morte per mesotelioma 128 persone. E sono ancora troppi i paesi dove questo materiale viene lavorato: India, Cina, Russia, Brasile». 
Proprio dal Brasile è arrivata ieri a Torino una delle più commosse testimonianze. Fernanda Giannasi, dell’Abrea (Associazione brasiliana esposti amianto) non riusciva a trattenere le lacrime. «La nostra lotta – ha raccontato – dura da decenni, anche se per ora solo cinque stati brasiliani su 27 hanno vietato la lavorazione della sostanza killer. Questo verdetto è una speranza. Casale Monferrato deve essere un esempio per il mondo intero, per far sì che il massacro finisca».


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