L’INVENZIONE DELLA LETTURA QUANDO VENEZIA FABBRICAVA BESTSELLER

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E’ il primo pensiero con il quale ci si accosta al volume di Alessandro Marzo Magno L’alba dei libri (Garzanti). L’autore, un veneziano trapiantato a Milano, dove è stato caposervizio agli esteri per settimanale Diario, s’intrattiene in quest’opera su una serie di deliziose vicende della sua città . E lo fa con una minuzia a tratti struggente, che finisce per irretire il lettore. L’inno al libro, da lui composto, coinvolge l’immagine storica della Serenissima, così come traspare dal sottotitolo “Quando Venezia ha fatto leggere il mondo”.

Si tratta di una rievocazione del capoluogo lagunare in quanto capitale mondiale dell’editoria lungo quel secolo, il Cinquecento, che fu al centro delle nostre glorie rinascimentali. I motivi di quella supremazia in campo editoriale non sono difficili da scrutare. Oltre a rientrare, con Parigi e Napoli, nel trio dei centri europei considerati delle megalopoli in quanto abitati da più di 150 mila abitanti, la Dominante (mai appellativo fu più doveroso) era all’epoca, in primo luogo in virtù della posizione geografica, «un luogo più simile a un mondo intero che a una città ».

L’Adriatico andava visto come una sorta di lago veneziano: lo sapevano siai letterati chei mercanti. I «domini da mar» della Signoria Serenissima si estendevano su Istria e Dalmazia, coinvolgevano gli odierni serbi e croati – questi esponenti della “Slavia veneta” – investivano la Grecia, inglobavano, da Creta a Cipro, le grandi isole mediterranee e intrattenevano attivi (anche se spesso turbolenti) scambi culturali con l’universo islamico e con quello ebraico.

Non a caso fu proprio dai torchi d’una bottega di Venezia – dove ebbe sede il primo ghetto del mondo – che uscì un esemplare leggendario del Talmud. Sempre lì, con il titolo Alcoranus arabicus, venne dato alle stampe il primo Corano che vedesse la luce nella lingua di Maometto. A questa ultima rarità  bibliografica, di cui si sarebbero perse le tracce per mezzo millennio, l’autore dedica un romanzesco capitolo. Da Aldo Manuzio, questo «Michelangelo dell’editoria», in giù, attraggono l’ammirata attenzione dell’autore decine di persone che consacrarono la vita agli esordi della carta stampata. Il risalto geloso acquisito da Venezia in materia sarà  alla base di un non casuale equivoco, quando essa volle contestare a Gutenberg l’ideazione della stampa per attribuirlaa Panfilo Castaldi, medico e umanista di Mestre. Sul piedistallo del monumento che gli ha dedicato la città  natia figura ancora oggi una scritta che gli attribuisce «la paternità  di un’invenzione non sua». Risulterà  lampante a questo punto quanto fossero eminentemente marittime, fra Quattro e Cinquecento, le vie di diffusione commerciale dei libri tra Venezia e il resto d’Europa. Desta curiosità  il modo di “vestire” i volumi per sottrarli all’insidia delle onde. Essi «viaggiavano raccolti in balle o chiusi dentro botti o casse rese impermeabili con la catramatura». Se simili cautele connesse alla navigazione dei libri oggi non sono più attuali, restano valide molte delle scoperte tecniche in materia di editoria risalenti a quei tempi: dall’introduzione del corsivo – un carattere capace, secondo Manuzio, «di assicurare alle stampe l’eleganza e la bellezza del manoscritto umanistico» – alla realizzazione di punzoni in piombo o altri metalli, dovuta, sulla metà  del XVI secolo, al francese Claude Garamond, il cui nome ancora oggi distingue un particolare carattere tipografico.

Quanto alla voga riservata nel Rinascimento al libro “portatile” o “economico” in piccolo formato, ritenuto adatto agli «studenti o studiosi che vagavano tra le grandi università  europee», nonè neppure il caso di soffermarsi sulla sua perennità . Per non parlare del «best seller», categoria editoriale della quale l’autore individua un antenato nell’ Orlando furioso di cui il veneziano Gabriel Giolito de’ Ferrari pubblicò tra il 1542 e il 1560 ben ventotto edizioni. Con connotati squisitamente moderni si presenta, nel racconto di A.

Marzo Magno, la tendenza delle stamperie lagunari a concentrarsi fra loro in holding che, accogliendo anche soci stranieri, prefigurano altrettante multinazionali del libro.

L’epoca delle grandi scoperte offrirà  all’editoria veneziana un nuovo avvio di penetrazione commerciale: la produzione di testi, carte e documentari geografici. Gli scritti di Cristoforo Colombo, raccolte nel volume anonimo dal titolo Libretto de tutta la navigazione de’ Re di Spagna de le isole et terreni novamente trovati e soprattutto la famosa lettera di Amerigo Vespucci a Lorenzo de’ Medici, di cui nella prima metà  del Cinquecento si moltiplicarono, le edizioni con il titolo Mundus Novus, sono solo alcuni esempi di questo ricco filone. Altri se ne aggiungono: trattati di musica, di medicina, di ginnastica. Ma forse a comunicare l’idea di un originale anticonformismo è il soprattutto il consenso commerciale che arrise alla produzione galante, e in molti casi estrosamente oscena, di Pietro Aretino, in una località  come la Dominante, dove per tradizione la censura pochissimo attecchiva. Il poeta rappresentò un’autentica delizia sia per i bibliofili che per i patiti dell’Eros. Con gli inviti al piacere che racchiudevano («Fottiamoci, anima mia, fottiamoci presto – perché tutti per fotter siamo nati») i Sonetti lussuriosi dovevano essere per molti una lettura da comodino. Nella Serenissima, che lo accoglie per quasi un trentennio, dal 1527 fino alla morte, lo scapestrato autore dei Ragionamenti diventa una sorta di attrazione turistica, al punto che in quest’ Alba dei libri viene eletto a fondatore della genìa degli scrittori-divi. Tiziano gli farà  un ritratto e lo definirà  «condottiero della letteratura». Sebastiano del Piombo e Iacopo Sansovino saranno suoi unanimi amici. L’imperatore Carlo V lo proteggerà . Anche questo è stata la Serenissima nella sua stagione d’oro, prima che gli interdetti pontifici, sempre più frequenti in epoca di Controriforma, non si impegnino a vietarne le mattane. Ma qui s’affaccia un’altra storia, con tanti sorrisi in meno.


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