Alcoa, scontri in piazza. Poi l’intesa

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MILANO — Dopo una lunga giornata di proteste per le strade di Roma e di trattative al ministero dello Sviluppo economico, in tarda serata è stato raggiunto l’accordo sulla vertenza Alcoa. Il ministro Corrado Passera e il sottosegretario Claudio De Vincenti hanno seguito la trattativa fino alla chiusura dell’intesa insieme con una delegazione del colosso americano dell’alluminio, sindacati, Regione Sardegna e provincia del Sulcis-Inglesiente.
L’azienda ha accettato di ritirare la procedura di mobilità  e ha acconsentito a mantenere attivo lo stabilimento fino al 31 dicembre 2012 se ci saranno manifestazioni di interesse (l’attività  cesserà  invece il 31 ottobre in assenza di tali manifestazioni). In seguito, scatterà  la cassa integrazione per tutti i 1.500 dipendenti. Per almeno un anno — scrive la nota — l’impianto sarà  mantenuto in condizioni di efficienza, così da garantire una immediata ripresa della produzione nel caso dovessero subentrare nuovi azionisti. L’accordo prevede inoltre un impegno straordinario del governo per trovare soluzione al problema del costo dell’energia elettrica, oltre a un impegno delle istituzioni regionali e locali a migliorare la dotazione infrastrutturale del territorio. Contro la minacciata chiusura dello stabilimento sardo di Portovesme, più di 300 operai ieri hanno sfilato in corteo per le strade della capitale, lanciando petardi e fumogeni, fino alla sede del ministero dello Sviluppo economico, dove in mattinata è partita la trattativa. La posta in gioco era alta: il mantenimento dei posti di lavoro: 501 dipendenti diretti, che con l’indotto salgono a circa 1.500, messi «in mobilità » dallo scorso gennaio, per i quali dal 4 aprile sarebbe scattato il licenziamento collettivo.
Fino all’ultimo Alcoa sembrava intenzionata a chiudere l’impianto. Di sicuro, resta ferma sulla decisione, annunciata tre mesi fa, di lasciare l’Italia, magari cedendo il passo a un possibile compratore. E mentre all’interno del ministero dello Sviluppo economico il negoziato si trascinava fino a tarda sera, in strada saliva la tensione, con qualche tafferuglio, cori e gesti simbolici, come schede elettorali bruciate, bastoni lanciati contro gli scudi delle forze dell’ordine e caschetti sbattuti per terra e contro le saracinesche dei negozi vicini.
Soddisfazione da parte dei sindacati. Lo afferma Mario Ghini, segretario nazionale Uilm «ma la parola passa ora all’assemblea dei lavoratori che si riuniranno nel pomeriggio di giovedì per valutare quanto deciso». «Un’intesa sofferta — affermano Laura Spezia, segretario nazionale Fiom e Vittorio Barbi (Fiom siderurgia) — che non scongiura l’abbandono di Portovesme da parte di Alcoa ma che mette le basi per il proseguimento dell’alluminio primario nel nostro Paese». 
Un’intesa raggiunta sul filo del rasoio proprio sulla data di chiusura dell’impianto: da un lato governo, lavoratori e istituzioni locali contrari a uno spegnimento prima della fine dell’anno (una dead line su cui «non intendiamo transigere», secondo il governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci). Dall’altro la multinazionale americana che sarebbe voluta andare via prima dello scadere del 2012, lamentando costi di produzione eccessivi. La stretta dei tempi poteva essere fatale: se l’impianto venisse spento, difficilmente si potrebbe trovare qualcuno disposto a pagare gli alti costi di riavvio. Inoltre, serve tempo per trovare soluzioni sul fronte energetico: «Sul tema dell’energia non bisogna commettere errori: dobbiamo studiare tutti i modi possibili per intervenire su questi costi, ma restando sempre nell’ambito delle normative europee», ha precisato Passera.
Intanto le manifestazioni d’interesse sul tavolo sarebbero quattro: oltre alla svizzere Glencore e Klesch, e all’austro-tedesca Hammerer Aluminium Industries, ne sarebbe arrivata proprio in questi ultimi giorni un’altra da un fondo finanziario statunitense. Ma solo una tra queste risulterebbe essere una proposta solida.


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