Allargare il fronte per non morire il movimento teme la deriva greca

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SUSA – La linea la dà  Lele Rizzo, uno dei leader di Askatasuna, all’assemblea serale di Bussoleno: «Nasceranno tante Val Susa in tutta Italia».La parola d’ordine è allargare, uscire dalla valle, dal cul de sac di una lotta che se si limita a cercare di impedire la realizzazione di una galleria, rischia di finire con l’avvio di un cantiere. Allargare per costruire un movimento diverso. E per evitare che la battaglia in una sola vallata finisca per far aumentare le distanze tra le diverse anime: autonomi, anarchici, valligiani e ambientalisti.
I primi segnali di frizione si avvertono già . Per ora gli autonomi riescono ancora a fare sintesi, ad essere, per paradosso, il punto di mediazione tra le tentazioni di fuga nel gesto estremo degli anarchici e la naturale tendenza al localismo dei valligiani. Ma nelle ultime ore di scontri sull’autostrada le differenze tra anarchici e autonomi si sono viste. Nel fine settimana il movimento No-Tav non si è dato scadenze, non ha convocato manifestazioni nazionali. Si è preso una pausa di riflessione per trovare una nuova regia e per decidere se e come cambiare pelle.
«Da Atene a Chianocco la lotta è una sola», si legge sui cartelli ai blocchi stradali. Certe azioni dell’ala dura della componente anarchica e anche le aggressioni ai giornalisti di martedì fanno parte della pratica dei black bloc in piazza Omonia, di fronte alla sede del Parlamento greco nei giorni difficili in cui si discuteva una manovra economica lacrime e sangue. Ma quel livello di violenza probabilmente il movimento contro il supertreno non è in grado oggi di accettarlo. Per questo nei giorni scorsi alcune pratiche più dure hanno provocato aspre discussioni nel popolo della protesta.
«Andiamo in paese per far sapere che siamo tanti anche dopo le cariche della scorsa notte, una presenza forte e tranquilla», diceva ieri uno degli speaker all’assemblea di Bussoleno prima della partenza del corteo. Dietro quelle parole si sente l’eco dell’ira dei giorni scorsi di valligiani e amministratori No-Tav, furiosi con i saccheggi e le devastazioni della notte di lunedì in piccoli paesi come Salbertand, poche anime in alta valle con le strade distrutte dalla furia dell’ala dura che voleva vendicare Luca Abbà .
È per evitare la deriva greca che l’area autonoma ha proposto di allargare a tutta Italia le iniziative contro il treno veloce. Per non sovraccaricare la valle di tensione in un momento in cui le adesioni alle proteste sono inevitabilmente calanti. È fisiologico che durante la settimana i militanti diminuiscano di numero: non ci sono i rinforzi che arrivano dalle città  e anche i valligiani devono lavorare, andare a scuola. Le proteste si svolgono solo alla sera, come una specie di secondo lavoro quando chiudono fabbriche e uffici. Ai blocchi di questi giorni partecipano alcune centinaia di persone, non di più. E cominciano a vedersi in valle i primi segnali di insofferenza: «Ho proposto una moratoria unilaterale dei blocchi di cinque giorni per chiedere un incontro al governo, ma non sono stato ascoltato», lamenta il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano, prima di salire in auto e lasciare la riunione di Bussoleno.
Probabilmente non è questo il momento di proporre moratorie, il popolo della protesta non capirebbe, ma certo quell’idea è il sintomo di una difficoltà  degli amministratori locali. Come in difficoltà  è inevitabilmente l’ala ambientalista e pacifista, quella che fa riferimento a Legambiente, Pro Natura e Wwf. Non è facile spiegare perché è giusto salvare le balene e prendere a sassate i poliziotti. E con il passar del tempo sarà  sempre più difficile spiegare perché la madre di tutte le battaglie ambientaliste è contro una galleria di 12 chilometri sul versante italiano del Moncenisio.
La linea delle “cento Valsusa” inaugurata ieri sera con l’occupazione di decine di luoghi in giro per l’Italia può non essere solo l’escamotage di un movimento in difficoltà  che chiede aiuto, ma l’inizio di una sorta di fase due. Un modo per superare la crisi di questi giorni. Potrebbe essere una crisi di crescita con il rischio di esportare in tutta Italia le contraddizioni oggi presenti nella valle che resiste. La battuta che circolava ieri sera all’assemblea di Bussoleno era: «Non ci chiuderanno nel recinto, non ci chiuderemo nel recinto».


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