Chi ci paga? Viaggio ai confini della politica

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È esplosa in mille forme la solidarietà  alla nostra testata, persino tra chi il giornale non lo legge se non occasionalmente. La ragione ce la spiegano in tanti dibattiti, cene, spettacoli: 41 anni di battaglie, controcorrente fino a violare le leggi del mercato, «vi hanno trasformato in un presidio della nostra traballante democrazia». Che la nostra democrazia traballi, e che i puntelli non possano arrivare da chi impone le leggi della finanza alla politica prendone il posto per abbandono del campo, lo dimostra la ripetuta richiesta dai Circoli degli amici del manifesto di discutere insieme di crisi del manifesto, della politica e della società . Magari mettendo al centro la Grecia, come da Firenze a Ravenna con la partecipazione del nostro scatenato corrispondente da Atene, Argiris Panagopoulos. Oppure parlando di crisi del nordest in modo non banale in una «cena napoletana» come quella che in preparazione a Padova.
Ci sono piccoli paesi in cui, magari per l’impegno di un assessore o un operaio, un sindaco o una maestra, ci si mobilita con un’iniziativa a cui ci chiedono di partecipare: vogliono sapere come stiamo gestendo la crisi e come potrebbe andare a finire, cosa possono fare per aiutarci oltre a leggerci, magari in doppia copia, ad abbonarsi e ad abbonare biblioteche, detenuti, scuole, osterie, fabbriche. In molte città  le battaglie del manifesto si sono mescolate a quelle della Fiom per la riconquista del contratto e della democrazia nei posti di lavoro, in preparazione della grande manifestazione di venerdì scorso a Roma. Anche alcune Camere del lavoro della Cgil hanno visto i segnali di fumo e hanno risposto con un messaggio di amicizia. E così in Valsusa, dove giornale e NoTav si sono reciprocamente adottati; oppure a Pomigliano d’Arco, dove il feeling è con gli operai lasciati fuori dai cancelli da Marchionne perché marchiati a sangue da una tessera incompatibile con il suo modello che non prevede pluralismo sindacale e democrazia.
Da Bolzano a Ivrea, da Matera a Rionero in Vulture, da Cagliari a Milano arrivano segnali indiani, ovunque pulsa il popolo manifestino. In queste settimane di passione siamo stati ospitati in aule universitarie e teatri occupati, come a Cosenza, a Bari, a Roma. In case della cultura, case del popolo, osterie. Se avessimo la forza e un po’ di serenità , questi viaggi potrebbero costituire l’ossatura di decine di inchieste giornalistiche: sullo studio e il lavoro negati, come in Calabria, o in Friuli. I redattori coinvolti nel giro d’Italia hanno l’opportunità  di incontrare il paese reale, quello lontano dalla politica e dai media. Quello che conosce il peso dei sacrifici e preferisce piangele le sue lacrime senza farsele prestare dal ministro Fornero. Incontriamo gente che si preoccupa anche dei posti di lavoro in bilico al giornale che sostengono, ma insistono sul fatto che il primo soggetto da salvare è un bene comune. Ci suggeriscono, sempre, spezzoni di un piano politico-editoriale che dovremo ristrivere, facendo tesoro delle esperienze raccolte. Ci chiedono inchieste giornalistiche e analisi, «dovete scavare di più, le notizie ufficiali le conosciamo già  quando andiamo in edicola». Vogliono le notizie che altri nascondono, non si accontentano di un racconto di sinistra dell’informazione canonica. Ci vogliono eretici e concreti, pretendono di usare il manifesto per fare politica a sinistra, ripensare una sinistra, un progetto, un percorso condiviso. Sanno che il manifesto non è uscito indenne dall’implosione della sinistra politica, ma, ci dicono, «siete ancora uno pochi brand che fa ritrovare allo stesso tavolo, alla stessa cena, nello stesso teatro, chi ha smesso da tempo di parlarsi».
Chiedono molto i nostri lettori, investono molto nella nostra salvezza (ci avviciniamo alle cento iniziative in tutt’Italia) e si aspettano da noi più di quel che riusciamo a dare. In alcune città , da Roma a Bologna, è persino ripartita la vecchia, gloriosa, diffusione militante. C’è chi vuole mettere in cantiere una festa nazionale del manifesto, magari a Bologna, magari insieme alla Fiom. In cambio ci chiedono solo una cosa: di passare la nottata, facendo i sacrifici necessari, ma di salvare il manifesto.


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