Coppia gay con soggiorno

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Si chiama Rafael il primo immigrato extracomunitario che ha ottenuto nel nostro Paese il permesso di soggiorno in virtù del rapporto di parentela che lo lega a suo marito Flavio, cittadino italiano sposato due anni fa in Spagna. La questura di Reggio Emilia, che in un primo momento gli aveva negato il documento adducendo i soliti «motivi di ordine pubblico», ha dovuto adeguarsi alla sentenza emessa da un giudice illuminato, Domenica Sabrina Tanasi, che ha semplicemente applicato i principi di non discriminazione (trattato di Lisbona) e di libera circolazione per i cittadini comunitari e per i loro familiari (trattato di Nizza). Un altro passo avanti nel riconoscimento dei diritti civili (ed elementari) degli omosessuali – ottenuto grazie al ricorso presentato dall’associazione Radicale “Certi Diritti” – dopo la sentenza della Cassazione che il 15 marzo scorso aveva ribadito, come già  fece la Corte costituzionale nel 2010, l’arretratezza del nostro ordinamento legislativo rispetto all’«attuale realtà  giuridica» europea.
In sostanza, il giudice del tribunale ordinario di Reggio Emilia ha riconosciuto a Rafael lo status di “familiare” di Flavio, malgrado il loro matrimonio, regolarmente registrato in Spagna, non possa essere riconosciuto in Italia. Tanto che sul permesso di soggiorno ottenuto per «motivi familiari» (concesso a coniugi, genitori e figli), Rafael continua ad essere definito «celibe». «Il diritto di famiglia all’interno della Comunità  europea è disciplinato a discrezione di ciascuno Stato membro – spiega Gabriella Friso dell’associazione “Certi diritti” – ma il diritto alla libera circolazione vale ovunque allo stesso modo. Quando abbiamo impugnato il diniego opposto dalla questura di Reggio Emilia abbiamo deciso di tralasciare la questione del riconoscimento del matrimonio e di concentrarci invece sul diritto del ricongiungimento familiare puntando sul fatto che il concetto di coniuge non è quello stabilito nel Paese di arrivo dell’immigrato ma del Paese europeo dove il matrimonio è legittimamente riconosciuto». D’altra parte, a imprimere una svolta nella giurisprudenza italiana erano già  state le sentenze della Corte costituzionale (la 138 del 2010 che riconobbe per la prima volta i diritti civili non solo agli individui ma anche alle coppie omosessuali) e della Cassazione (che quindici giorni fa ha evidenziato il divario tra l’ordinamento italiano e la società  europea, dove il concetto di famiglia comprende già  le coppie omosessuali e le cosiddette unioni di fatto). 
Malgrado l’immediata operatività , è una sentenza di primo grado, quella del tribunale di Reggio Emilia, e quindi potrebbe essere impugnata dall’Avvocatura dello Stato, organo indipendente dal ministero. «Eppure a questo punto sarebbe opportuna un’apertura da parte del ministro Elsa Fornero», fa notare Gabriella Friso. Comunque, è una vittoria per l’associazione Radicale che corona così la campagna «Affermazione civile» condotta da decine di coppie omosessuali italiane sposate all’estero impugnando il diniego dei comuni a pubblicare gli atti del loro matrimonio.
Esultano le associazioni lgbt e i pochi politici italiani attivi nella lotta per i diritti civili universali. Si tratta di «un ulteriore colpo a tutti i reazionari d’Italia», secondo il presidente di Equality Italia Aurelio Mancuso. Mentre Franco Grillini dell’Idv definisce la sentenza «una svolta», per Paola Concia del Pd è «un altro importantissimo segnale per la politica italiana». E mentre dalla destra si sollevano senza pudore le solite voci omofobiche, con la Lega che parla di «un precedente pericoloso» e con qualche parlamentare del Pdl che provoca il Pd («Bersani inserirà  le nozze gay nel programma?»), a parlare di «tempi maturi per i Patti di convivenza» è addirittura il Consiglio notarile di Reggio Emilia. Ma l’invito ad una «politica meno codarda» in materia di diritti per le coppie conviventi al di là  dell’orientamento sessuale rivolta da Nichi Vendola nell’ambito della campagna lanciata dal settimanale Vanity Fair sarà  raccolto con qualche difficoltà  in più dopo le parole pronunciate ieri dal cardinale Angelo Bagnasco nella sua prolusione al Consiglio Episcopale Permanente: «La famiglia non è un aggregato di individui, o un soggetto da ridefinire a seconda delle pressioni di costume – ha detto rispondendo alle richiesta di apertura avanzata nei giorni scorsi dall’ex arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini -, non può essere dichiarata cosa di altri tempi. Essa affonda le proprie radici nella natura stessa dell’umano, e quindi della storia universale».
Ma se Bagnasco cerca appigli nella preistoria, il Comitato Bologna Pride 2012, che sta organizzando la manifestazione nazionale del prossimo 9 giugno a Bologna, fa notare semplicemente come una coppia gay abbia dovuto faticosamente raggiungere un traguardo «elementare per tutte le coppie eterosessuali».


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