Il dandy che lottava con la morte

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«Tanto credito prestiamo alla vita/ciò che essa ha di più precario: la vita reale, naturalmente/che quel credito finisce per perdersi». Così nel 1924 Breton apriva il Primo manifesto del surrealismo, nel quale l’arte teorizzava una strategia di avvicinamento alla vita proprio per risolvere la realtà  “mancata”, cioè quella quotidiana e puramente cronologica, attraverso l’affermazione di una surrealtà  costruita dall’immaginazione, dal sogno, “follia” che il quotidiano riesce solo a sospettare.
Salvador Dalà­, nell’intero arco della sua produzione artistica, ha esercitato questa strategia, oscillando dall’opera al comportamento, dall’arte alla vita: la mostra a Parigi di fotografie di sue azioni, riprese da Robert Descharnes e Marc Lacroix, lo dimostra “proiettato nella sua opera d’arte” (H. Segal). Ma la vitalità  di Dalà­ nasconde invece l’idea di un’arte come idea del lutto, come nostalgia del disordine perduto. Un’idea che nasce nella sospensione tra conscio e inconscio, tra arte e mondo, tra una cosa e il suo opposto. Nasce cioè dall’ambivalenza. In Dalà­, come in tutto il surrealismo, l’opera è l’emergenza espressiva di una tensione liberatoria, di un’affermazione vitale dell’intera struttura dell’uomo. Ma il risultato è pur sempre solo forma e linguaggio, un guscio fermo e ormai lontano dal flusso della vita che intanto scorre altrove. 
Da qui il senso di colpa, l’impossibilità  dell’artista di identificarsi con l’opera prodotta e l’assunzione del tema della morte. Se la vita sopravanza di molto l’opera, se il tempo, come dimensione reale, sfugge alla trappola tesa dall’arte, allora Dalà­ si rivolge direttamente al gesto e al comportamento. L’artista – le foto nel museo lo testimoniano – impiega l’evento come strumento barocco di descrizione del tema della morte. 
Se la vita è l’incessante pulsare degli attimi, la morte è l’arresto traumatizzato di ogni pulsione. L’iconografia dell’orologio liquefatto rappresenta il terrore infantile del tempo che porta ogni cosa alla propria putrefazione e all’annullamento. L’ossessione della morte diventa maniacale e cordiale, ridotta a descrizione di un quotidiano in cui ogni stile viene contaminato e ogni immagine pareggiata. Le statue greche diventano oggetti praticabili, con i cassetti chiusi sul proprio vuoto o ripieni di oggetti imprevisti e impensati. La metafora del linguaggio artistico viene stravolta fino al proprio contorcimento, ogni simbolo diventa il proprio contrario, la donna Gala diventa la presenza materna di ogni Risurrezione, ma anche l’inevitabile segno della castrazione. Perché ogni metafora è anche castrazione, riduzione di ogni terrore a fissa immagine. 
Perciò Dalà­ ha trascorso tutta la vita a combattere il problema della morte con la propria vita. Una vita da dandy che stupisce il mondo per non morire.


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