«Il rigore non basta La priorità  è il lavoro»

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ROMA — Creare lavoro come «priorità  assoluta» perché il rigore e l’approccio finanziario da soli non bastano, adesso che «con i provvedimenti adottati è stato portato al sicuro il Paese». Il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinal Angelo Bagnasco, dà  atto al governo Monti di aver salvato l’Italia, ma ora chiede uno scatto per la crescita che preservi la specificità  economico-sociale della nazione attraverso un «welfare condiviso», «la soluzione meglio condivisa», «l’economia sociale di mercato», «la necessaria gradualità  degli strumenti». Senza chiusure dogmatiche. Perché nella «realtà  odierna nessuno può pensare di preservare automaticamente delle rendite di posizione». Anzi, si tratta — ha affermato il cardinale — «con animo sgombro da pregiudizi, di riconoscere ciò che effettivamente segna un avanzamento, quale che sia il soggetto proponente». Poi aggiunge una notazione importantissima: «Ora la strada e il tempo del confronto vanno percorsi fino in fondo, con onestà  intellettuale e indistruttibile fiducia nel comune desiderio di riuscire nell’impresa». 
Il solo approccio finanziario, sottolinea il numero uno dei vescovi italiani, «senza concreti e massicci piani industriali, sarebbe di ben corto respiro. Solamente ciò che porta con sé lavoro, e perciò coinvolge testa e braccia del Paese reale, ridà  sicurezza per il presente e apre al futuro… C’è bisogno — e questo è il momento — che la gente ritrovi l’entusiasmo per le relazioni e si rimetta assieme in modo creativo per far girare il ciclo del lavoro».
Il cuore della prolusione con cui il porporato ha aperto il Consiglio permanente della Cei, è tutto dedicato «all’uomo che lavora e alla sua dignità ». Per il cardinale, bisogna «azionare tutti gli strumenti e investire tutte le risorse a disposizione — dello Stato, dell’imprenditoria, del credito, della società  civile — per dare agli italiani, a cominciare dai giovani, la possibilità  di lavorare: non solo per sopravvivere, ma per la loro dignità ». «La globalizzazione è una condizione ineluttabile — sostiene — con aspetti che, se non governati, possono modificare radicalmente i destini di un popolo». «Per questo dobbiamo starci dentro», aggiunge, ma «con la nostra cifra sociale, superando con la necessaria gradualità  gli strumenti che sono inadeguati per raggiungere, nelle condizioni date, la soluzione meglio condivisa». 
Il presidente dei vescovi non prende dunque posizione sulla riforma dell’articolo 18 (nel testo, anzi, l’articolo 18 non è neppure menzionato). Ma traccia una strada ben precisa per evitare che sull’onda lunga della crisi («la più grave dal Dopoguerra») si butti il bambino insieme all’acqua sporca. Bagnasco ricorda «la prodigiosa combinazione tra famiglia, impresa, credito e comunità » che ha sorretto la specificità  italiana. «È l’insieme che va reinterpretato e rilanciato, recuperando stima nelle imprese familiari e locali, a cominciare da quelle agricole e artigianali». A questo proposito, un monito viene lanciato affinché gli istituti bancari «non si chiudano in modo indiscriminato alle richieste di piccoli e medi imprenditori». E pone sul tappeto anche il problema del lavoro «intrinseco» di domenica, «giorno nel quale non solo ci si riposa dal lavoro, ma la famiglia si ritrova insieme con ritmi più distesi e partecipa, se credente, alla liturgia del Signore». In ogni caso, secondo il cardinale, «bisogna che si approfitti il più possibile di questa stagione, in cui si è costretti a dare una nuova forma ai nostri stili di vita», tra l’altro con strumenti «stringenti nel contrasto alla corruzione e al latrocinio della cosa pubblica». I partiti sono sollecitati a rinnovarsi: «Non hanno alternativa». E così Bagnasco benedice le scuole diocesane di politica e il nuovo impegno delle formazioni cattoliche.
Il cardinale ha dedicato un capitolo intero al contrasto che esiste tra la precarietà  di chi entra oggi nel mondo del lavoro e le garanzie di chi, invece, gode di un’occupazione stabile. «È una strana congiuntura quella in cui ci troviamo: i padri, lottando, hanno ottenuto garanzie che oggi appaiono sproporzionate rispetto alle disponibilità  riconosciute ai loro figli». E conclude: «Questo Paese non si ama a sufficienza quando non prende sul serio le generazioni con maggiore spinta innovativa».


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