Mélenchon il rosso il terzo uomo della corsa all’Eliseo

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La battuta pronta, la formula accattivante, l’aggressività  che paralizza l’interlocutore, il disprezzo del sans-culottes per chi ha il potere, l’arte di bucare lo schermo e la furbizia del politico navigato: c’è tutto questo in Jean-Luc Mélenchon, candidato anti-sistema che solleva l’entusiasmo delle folle, mette in difficoltà  Franà§ois Hollande e viene vezzeggiato da Nicolas Sarkozy. Da una quindicina di giorni è il nuovo protagonista della campagna elettorale: può sperare di piazzarsi al terzo posto e può influenzare, nel bene e nel male, la sorte del candidato socialista. Mélenchon, che ha sempre detto di voler evitare la rielezione di Sarkozy, può portare al socialista il voto protestatario di chi rifiuta l’establishment. Ma può anche essere il suo tallone d’Achille, come spera il presidente uscente, lo spauracchio che allontana da Hollande l’elettorato centrista.
Da quando ha superato nei sondaggi la soglia del 10 per cento e riunito alla Bastiglia centomila persone, Mélenchon è diventato il «terzo uomo» della campagna, superando – secondo alcuni sondaggi – la leader del Fronte nazionale Marine Le Pen. Ha il dono della parola, sa maneggiare la lingua con sottigliezza, a volte come un fioretto e a volte come una clava. In questo assomiglia a Jean-Marie Le Pen, altro personaggio “fuori dal coro” che sapeva sedurre le folle. Come lui sa trovare le immagini che colpiscono la fantasia. E a farne le spese è spesso il candidato socialista, definito una prima volta come «capitano di pedalò» e poi bollato politicamente come «Hollandreu», cioè clone dell’ex premier greco.
Il leader del Fronte di sinistra, che raccoglie il suo Partito di sinistra e il Pcf, sa parlare a quella fetta dell’elettorato francese renitente a qualsiasi riformismo. «Che se ne vadano tutti», è il suo slogan preferito. «Dovrete pagare, signore e signori ricchi», è la formula che manda in visibilio la folla dei suoi sostenitori, eredi di quella sinistra radicale orfana degli Anni Settanta. Quando disegna i contorni della sua riforma istituzionale è spavaldo come un Masaniello e istrionico come un divo: «Sarete stupiti, se sono eletto. Convocherò una Costituente che creerà  una repubblica parlamentare. E una volta adottato il nuovo regime, tiro nella Senna la chiave dell’Eliseo e me ne torno a casa». Trotzkista da giovane, aveva scelto come pseudonimo Santerre, il nome della guardia che portò Luigi XVI sul patibolo.
Poi fu folgorato da Franà§ois Mitterrand. Contrario al rigore imposto dal presidente nel 1983, è stato per anni leader della sinistra socialista, senza tuttavia rifiutare un posto nel governo del riformista Jospin nel 2000. Leader del “no” alla Costituzione europea, ha lasciato il Ps nel 2008 per vestire i panni di un moderno sans-culottes.
Per lui non ci sono dubbi: il capitalismo va superato, per non dire eliminato. Il suo programma è radicale: 100 miliardi di tasse supplementari per ricchi e imprese, tassazione al 100 per cento di tutti i redditi superiori a 360 mila euro, salario minimo a 1700 euro, pensione a 60 anni e posto di lavoro garantito a vita: «Tra il debole e il forte, la legge protegge e la libertà  opprime». Un programma ripetuto a sazietà  su radio e tv, che utilizza volentieri, pur considerando i giornalisti dei lacchè: «Il primo media del popolo è il popolo stesso».
Per il resto, la République e la massoneria sono le sue stelle polari, la duplice fede di chi non ha «mai smesso di credere alla possibilità  di costruire un paradiso, qui e adesso».


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