Ora Marchionne non minaccia più. Basta la realtà 

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Cambia tono, anche se la sostanza resta la stessa. «Nessuna minaccia» per gli stabilimenti italiani, la crisi dei mercati nel paese e nel resto del continente dove il gruppo Fiat esporta quasi la metà  della sua produzione è «quella totalmente prevista», il piano prodotto va avanti secondo il calendario da lui stabilito, modificato o stravolto in base alle circostanze del momento. Insomma, va bene anche se va male. Ma l’amministratore delegato di Fiat-Chrysler oggi vuole rassicurare, forse perché ben consigliato dal ministro del lavoro Elsa Fornero il giorno precedente, forse perché non è il momento di fare cattiva pubblicità . A Ginevra, la Fiat presenta l’unico vero modello nuovo del gruppo per il 2012, la piccola monovolume 500L, costruita in Serbia dopo essere stata promessa a Mirafiori. Per lo stabilimento torinese e per le altre fabbriche italiane ci sarà  invece soltanto molta cassa integrazione. Per Marchionne non è una minaccia, certo una realtà .
La settimana scorsa, parlando a Bruxelles, l’ad del Lingotto aveva evocato «condizioni chiare» per continuare a produrre in Italia. Gli chiediamo quali sono: dopo la fine del contratto nazionale, si riferisce ancora al lavoro, o a una politica industriale del governo, o ad altro? «L’accordo con i sindacati – ci risponde – e il contratto modello di Pomigliano esteso alle altre realtà  vanno bene così. Il lavoro è un capitolo chiuso, non abbiamo altri interessi». Resta, invece, il problema della sovracapacità  produttiva in tutta Europa, del 20% specifica, e qui Marchionne fa come fanno tutti: si appella a Bruxelles. «Speriamo che lì qualcuno ci ascolti». In sostanza, vanno chiuse delle fabbriche di diversi costruttori come è stato fatto in America nel 2009: «Il problema va risolto a livello europeo, il governo italiano può solo partecipare a un piano di risanamento che sia per tutti. Un modello di azione per la comunità  europea è quanto avvenne con la crisi della siderurgia agli inizi degli anni ’90». Il messaggio torna chiaro, senza sfumature, anche nel giorno in cui usa toni apparentemente concilianti: quella crisi che il manager addita come modello si portò via centinaia di posti di lavoro e molti impianti in Belgio, in Gran Bretagna, in Germania, in Francia e altrove, Italia compresa, e aprì le porte a compratori indiani e cinesi (i secondi si affacciarono perfino a Taranto). «Nessuna minaccia» per gli stabilimenti italiani, ma il suono di queste parole è lugubre.
Vede un’alternativa alla chiusura di fabbriche se il mercato del vecchio continente continuerà  ad andare giù, gli viene chiesto? «Una soluzione può essere l’utilizzazione della produzione europea per l’export. Oggi solo i tedeschi lo fanno. È un modo per creare un futuro, il problema è gestibile per Fiat, per gli altri non lo so». Poi torna sul governo Monti, di cui «gli piace tutto» e a cui non chiederà  nulla, tipo incentivi per la vendita di automobili. Piuttosto, racconta di aver indicato al ministro Fornero degli «esempi» su quel che farebbe lui se fosse al governo. Gli esempi sono il recente accordo per la produzione di Jeep in Russia, dove la Sberbank (molto legata a Vladimir Putin) gli finanzia l’operazione, e la nascita di un nuovo stabilimento in Brasile, grazie a soldi e agevolazioni fiscali ricevuti dal governatore del Minas Gerais. Sarebbe bello, dice, che l’Italia attraesse capitali dall’estero in questo modo, «ma la Fiat non chiede nulla al governo, non sarebbe nemmeno capita e anzi questa cosa sarebbe vista come l’ennesimo favore a noi». Virtuoso, altro che Agnelli.
Marchionne parla infine delle alleanze, argomento del giorno a Ginevra e bollente per lui, dopo che i francesi di Psa si sono accordati con Gm. E non, come qualcuno avrebbe voluto, con Fiat. «Tecnicamente, possiamo fare ancora accordi sia con Psa che con Gm», taglia corto, tenendo ovviamente per sé le notizie sulla ricerca della felicità  con qualche altro partner, preferibilmente asiatico, sia esso Suzuki, Mazda o perché no, Geely-Volvo, alla ricerca a loro volta di un compagno di strada con cui condividere gli oneri per costruire auto piccole. Marchionne, per sua ammissione, ha «un problema molto delicato» sulla prossima generazione della Fiat Punto, oggi costruita a Melfi. L’erede è prevista sul suo personalissimo calendario per il 2014, ma ha bisogno di un pianale nuovo, troppo costoso da sviluppare in solitudine. Il tempo corre e almeno questa minaccia di essere ancora in ritardo l’ha ammessa.


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