Quegli sforzi della Farnesina per ottenere «condizioni idonee»

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ROMA — Per capire che cosa sta succedendo tra Italia e India, e quanto resti complicata la situazione determinata dalla morte di due indiani e dal blocco successivo della petroliera italiana Enrica Lexie, occorre guardare tra le pieghe di linguaggi molto più sfumati degli elementi tragici del caso: morte, carcere. Per la seconda volta da quando i due marò italiani che erano in servizio sulla nave sono accusati di aver ucciso i due pescatori, scambiandoli il 15 febbraio per pirati, la Farnesina ha contattato l’ambasciata d’India a Roma non come avviene di routine, ma facendolo sapere per dare al passo più rilievo. Obiettivo immediato, in mancanza di successo per le istanze di rilascio: continuare ad assicurare a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone un tipo di detenzione privilegiata che li faccia sentire con il proprio Stato alle spalle, oltre a garantire la loro incolumità .
Appena i fucilieri del reggimento San Marco sono stati destinati dal giudice di Kollam al carcere di Trivandrum, il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha incaricato il segretario della Farnesina Giampiero Massolo di esprimere «la vivissima preoccupazione del governo italiano». L’ambasciatore indiano Debabrata Saha non risultava in sede. Massolo si è rivolto all’incaricato d’affari Saurabh Kumar. Nel ribadirgli di considerare «inaccettabili» le misure restrittive «in considerazione dello status dei nostri due militari», Massolo ha chiesto «ogni sforzo» per «reperire» ai marò «condizioni di permanenza idonee» sottolineando anche «l’estrema sensibilità  della questione per le autorità  italiane, per le famiglie e per l’opinione pubblica e parlamentare». Un modo per dire: vi ripetiamo che lo Stato italiano ci tiene, e non soltanto il governo. Il risultato è arrivato in nottata con la rinuncia alla sistemazione in cella.
L’azione della Farnesina si muove tra strettoie non facili da allargare. Il 17 febbraio, Massolo aveva incontrato l’ambasciatore indiano consegnandogli una lettera di Terzi al collega S.M. Krishna per invitare a «collaborazione tra i due Paesi in questa vicenda». A New Delhi l’India aveva convocato già  l’ambasciatore d’Italia Giacomo Sanfelice per protestare contro le raffiche attribuite ai marò. La versione italiana è che questi hanno sparato verso una barca sospetta, però in aria e mare, non al peschereccio St Antony con i pescatori Ajeesh Binki e Valentine Jelastine. 
Ai margini di un convegno dell’Aspen a Istanbul, sabato Terzi ha cercato la solidarietà  del collega turco Ahmed Davutoglu. Tra l’amica Italia e l’amica India, che è il secondo Paese al mondo per popolazione e la terza economia dell’Asia, Davutoglu ha sì dichiarato l’importanza di difendere la libertà  di navigazione come sollecitato da Terzi, per risolvere «l’incidente» poi ha suggerito ai due Stati di «condividere tutte le informazioni» in proprio possesso. Nello stesso giorno, sono venuti fuori dubbi se l’Enrica Lexie abbia conservato nella «scatola nera» le coordinate della rotta del 15 febbraio.
Per i marò l’Italia ha mobilitato una decina di inviati: due esperti in balistica; il console a Mumbai e l’addetto militare dell’ambasciata che sono stati con i fucilieri; tre dirigenti di Esteri, Difesa e Giustizia e altri. Dal 22 febbraio è in India il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura. Di solito non accade. È come se la rivendicazione di innocenza dei marò e la tesi secondo la quale il giudizio spetta a giudici italiani non facciano passi avanti né indietro. Anche per questo il Consiglio dei ministri ieri, ascoltato Terzi sulla sua visita in India della settimana scorsa, ha evidenziato nel comunicato sulla seduta che per risolvere il caso di Latorre e Girone «tutte le articolazioni del governo continueranno a garantire la massima tutela». Il Pdl sostiene che il governo dovrebbe fare di più e organizza oggi al Pantheon una maratona oratoria. Il gruppo di destra Movimento per l’Italia chiede alla comunità  indiana di farsi sentire con il governo di New Delhi «altrimenti siamo pronti a picchettare i loro ristoranti». In quel caso, la diplomazia avrebbe un ostacolo ulteriore.


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