Un milione di atipici esclusi dall’assegno di disoccupazione

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Un milione di precari senza rete. La nuova riforma del mercato del lavoro, targata Monti-Fornero, rischia di lasciare a piedi ancora una volta i molti già  esclusi dalle tutele, gli intermittenti, gli ex milleuristi, le vittime di un mercato “segmentato” tra protetti e non protetti. Proprio coloro che, nelle intenzioni, questa riforma doveva accompagnare nel tunnel della flessibilità  “buona” verso la luce della stabilità . E invece abbandona nel «deserto» evocato dal ministro Fornero come il nemico da sconfiggere.

FUORI DA ASPI E MINI-ASPI
Uno su due è sotto i 40 anni e guadagna meno di 10 mila euro lordi l’anno. Quando il lavoro finisce, nessun sostegno. Né Aspi, né mini-Aspi. Zero. Come prima e peggio di prima. L’Assicurazione sociale per l’impiego – l’assegno unico di disoccupazione che dal 2017 sostituirà  mobilità  e indennità  – copre i soli lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, e in più apprendisti e artisti (oggi esclusi da ogni sostegno), che hanno un contratto a termine (determinato, formazione lavoro, part-time, ecc). I requisiti sono stringenti: due anni di anzianità  assicurativa e almeno 52 settimane lavorate nel biennio. La mini-Aspi è invece la versione aggiornata dell’attuale assegno “con requisiti ridotti”, riservato ancora una volta ai soli lavoratori subordinati che hanno lavorato poco, almeno 78 giorni in un anno, ora diventato «almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi» con durata massima «pari alla metà  delle settimane» lavorate nell’anno, dunque al massimo sei mesi, come ora. A conti fatti, però la mini-Aspi è più generosa del trattamento attuale, per una retribuzione media di 9.855 euro l’anno (quella di un precario): chi ha lavorato 3 mesi prenderà  926 euro in tutto (contro i 731 di oggi), ma chi ha lavorato un anno raddoppierà  l’assegno (3.700 euro contro 1.800). Il calcolo è lo stesso previsto per l’Aspi: il 75% della retribuzione (fino a 1.150 euro), il 25% dopo, con abbattimento del 15% ogni sei mesi.

L’ESERCITO DEI NON PROTETTI
La mini-Aspi, dunque, non amplia la platea dei protetti, ma sostiene chi oggi ha già  un ombrello. Al palo restano 945.141 lavoratori atipici, intermittenti, precari (dati Isfol, 2010). Quasi la metà  sono co.co.pro (675.883). Ma si contano anche 52.459 associati in partecipazione, 54.210 co.co.co statali, 49.179 dottorandi e assegnisti di ricerca, 24 mila venditori porta a porta, 27 mila “collaboratori”, 8.913 occasionali. 

SOLO UN IMPEGNO
La riforma approvata dal Consiglio dei ministri venerdì scorso contiene solo un impegno a rendere strutturale («a regime») l’una tantum oggi riservata ai co.co.pro. E questa viene considerata una vittoria dai sindacati, visto che le ultime versioni del testo la escludevano. L’una tantum oggi è pari al 30% del reddito dell’anno precedente, con un tetto di 4 mila euro. I requisiti sono molto restrittivi e di fatto l’83% dei fondi stanziati per il triennio 2009-2011 non è stato utilizzato (35 milioni su 200), con il 69% di domande respinte (28.674 su 42.550). Senza una revisione, questo paracadute continuerà  ad essere inutile, oltre che limitato. 

LE BUSTE PAGA
Il confronto parlamentare sulla riforma dovrebbe tenerne conto, considerando poi che l’aumento dell’1,4% delle aliquote contributive su tutti i contratti a termine – quindi anche del milione di parasubordinati – rischia di scaricarsi su buste paga già  ridotte all’osso. Un rincaro che finanzierà  proprio Aspi e mini-Aspi, da cui i precari sono tagliati fuori. Beffa e paradosso. E che potrebbe ingrossare – nonostante la stretta che la riforma intende mettere in campo – le fila delle 4 milioni di partite Iva, escluse da tutto, da sempre. Ma ancora “convenienti”.


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