Una normalità  ridotta a emergenza

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Nell’ultimo ventennio la questione migratoria ha rappresentato l’argomento di discussione più gettonato all’interno della società  italiana. Sia per la mancanza di un passato coloniale rilevante se paragonato ad altri paesi europei, come Francia, Gran Bretagna e Portogallo, sia per la tradizionale auto-rappresentazione come «grande proletaria» abituata ad esportare forza lavoro in tutto il mondo, la società  italiana ha faticato ad elaborare una modifica strutturale del proprio paesaggio come quella apportata dall’immigrazione. Inoltre, la crisi politico-economica intervenuta dai primi anni Novanta in poi, di cui in questi giorni decorre il ventennale, ha spostato il tema dell’immigrazione al centro del dibattito politico, spesso in modo strumentale, enfatizzandone, più spesso da destra, ma talvolta anche da sinistra, la portata reale. 
Le scienze sociali non sono state immuni da questa ondata di discussione. In particolare, nel corso degli anni sono fiorite pubblicazioni che affrontano la migrazione dal punto di vista della diversità  e del multiculturalismo, oppure lavori che si concentrano sulla mutazione del significato dei diritti umani in seguito alla presenza di comunità  radicalmente diverse, senza trascurare gli studi relativi al razzismo e ai modi per farvi fronte. Il libro di Asher Colombo Fuori controllo (pp.190, Il Mulino, pp. 202, euro 16) si colloca su un versante diverso. All’interno di un filone di ricerca inaugurato già  da alcuni anni da lui stesso e da Giuseppe Sciortino, che legge i processi migratori come un fenomeno «normale» all’interno delle dinamiche sociali contemporanee, Colombo si avvale di una mole consistente di dati empirici allo scopo di analizzare il rapporto tra le migrazioni e le politiche predisposte dallo stato italiano in merito. Sulla spinta degli sbarchi della primavera del 2011, seguiti alle rivolte del Maghreb, l’autore si chiama fuori dalla polemica tra quelli che potremmo definire gli opposti emergenzialismi, per chiedersi quanto le politiche migratorie italiane siano riuscite realmente a frenare le migrazioni e a governarle una volta che gli immigrati si insediano sul territorio. 
Innanzitutto, prendendo atto che la maggior parte degli immigrati oggi presenti regolarmente in Italia sono passati per una sanatoria (1990, 1995, 1998, 2003, 2008), l’autore si pone trasversalmente rispetto a chi inquadra l’implementazione di questi provvedimenti come un’anomalia tipicamente italiana. Attraverso i dati e una documentazione storica accurata, Colombo mostra come le sanatorie abbiano costituito lo strumento principale di regolarizzazione, adottato prima di noi da altri paesi europei con una tradizione migratoria più antica. In particolare, fuori dall’Italia, le sanatorie sono state realizzate attraverso il canale dei rifugiati per motivi umanitari. Se ci spostiamo sul versante dell’immigrazione clandestina, le differenze tra l’Italia ed altre esperienze europee si riducono ulteriormente rispetto ai controlli esterni, vale a dire quelli alle frontiere. 
Il controllo delle migrazioni, infatti, ha caratterizzato l’agire politico di tutti gli Stati europei. Sul fronte interno, provvedimenti quali i decreti di espulsione e il reato di detenzione amministrativa hanno registrato una scarsa efficacia. In primo luogo, perché le espulsioni, per essere efficaci, necessitano della collaborazione dei paesi di provenienza, che spesso non c’è. In secondo luogo, la detenzione amministrativa ha registrato un fallimento totale, in quanto la sua introduzione non ha comportato un aumento delle espulsioni. Lo stesso dicasi dei Cie, ex Cpt, la cui origine, ci spiega Colombo, risale alla Francia napoleonica. Il percorso arresto, Cie, accompagnamento coatto alla frontiera si attiva di rado.
Malgrado le maggioranze politiche di entrambi i colori si siano cimentati nelle politiche di controllo, riuscendo in qualche misura a frenare la portata quantitativa delle migrazioni, non sono riusciti, a lungo termine, ad impedire l’insediamento di una fascia di popolazione che oggi ammonta a circa il 7% del totale. Tutto bene, quindi? E Rosarno, Villa Literno, la Kater i Rades, i comitati civici? Il problema dei diritti umani, nel libro di Colombo, esce dalla porta per rientrare dalla finestra. Un’immigrazione che, per usare le parole dell’autore, entra dalla porta di servizio, con la mancanza dello status legale, reca con sé il lavoro nero, con lo sfruttamento selvaggio e la marginalità  sociale che ne conseguono, da cui derivano le discriminazioni, spesso brutali, a cui i migranti sono soggetti in Italia. Combattere il lavoro nero, quindi, rappresenta la vera sfida da raccogliere. Specialmente ai tempi della deregulation e della liquidazione dell’articolo 18.


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