A Manama una Ferrari non fa «primavera»

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Uno che accetta di essere chiamato «benvoluto dittatore» se ne sbatte di repressioni, morti, primavere negate. «Noi della Formula 1 non dovremmo essere coinvolti in questioni di politica di altri popoli», dice Bernie Ecclestone, il padre-padrone del mondiale automobilistico, che oggi, domani e domenica ha prenotato il week end sul circuito del Bahrain. Un emirato petrolifero perfetto per questo sport – qui la benzina costa ancora molto poco e l’ospitalità  è fatta essenzialmente di lussuose suite – governato da sunniti che continuano a chiudere alle richieste di aperture della maggioranza sciita. Nonostante scontri, proteste, arresti e tensioni internazionali che si susseguono da più di un anno e che ora inevitabilmente coinvolgeranno la Formula 1. L’altra notte una molotov ha sfiorato l’auto su cui viaggiavano quattro dipendenti della squadra Force India. E’ vero che i meccanici non c’entrano nulla, ma è altrettanto vero che avere in casa i media internazionali per una corsa trasmessa in tutto il mondo è una occasione più che ghiotta per pubblicizzare lo scontro e provare a sfondare il muro della censura governativa. L’anno scorso, la polizia aveva ucciso diverse manifestanti per le strade del piccolo paese, costringendo Ecclestone a rinunciare alla corsa di Ferrari e compagnia. Non che si fosse commosso l’ottantunenne patron, da cinquanta nello stesso business e nessun erede all’orizzonte. Ecclestone fece pressioni fino all’ultimo minuto perché si scendesse in posta comunque, mandò inviati che tornavano con parole d’ordine tranquillizzanti, finché il governo fece capire che non era aria. Il padre-padrone ricevette anche il no delle squadre riunite nella Fota, una associazione non di missionari ma che frenò con tale forza che il week end di paura fu cancellato. A qualche osservatore, quel no sembrò l’inizio di un indebolimento del potere di Ecclestone a favore dei piloti e dei costruttori, ma i giorni che seguirono spazzarono via ogni dubbio. Il vecchio Bernie continua a tenere stretto il volante attraverso la proprietà  CVC Capital Partners, un gruppo di private equity che ha comprato il Circus per 1,7 miliardi di dollari nel 2006. Sotto di loro c’è la Fia, la federazione automobilistica che in teoria governa su tutto quel che concerne il regolamento tecnico, un libro misterioso ed elastico come solo in un cartone animato. Ecclestone ha le chiavi della Formula 1 attraverso un altro libro ancora più misterioso chiamato Concorde Agreement. E’ il patto, pare chiuso in una cassaforte superprotetta a Londra, fra le squadre di Formula 1 e Bernie con cui si dividono gli introiti televisivi. La vera benzina del Circus, a prezzi e guadagni stellari. Il patto viene rinnovato ogni cinque anni. Il mese scorso Ecclestone ha annunciato di aver raggiunto un nuovo accordo con «la maggior parte delle squadre» sollevando non poche polemiche, poi è calato il silenzio. Chissà  se è stato messo in cassaforte anche il sì, questa volta unanime, a correre domenica sul circuito del Bahrain, a Manama. «Non vedo perché preoccuparsi, non credo che la gente in bahrain abbia qualcosa contro gli uomini delle scuderie di F1 o contro i giornalisti», ha detto Ecclestone, mentre sbirciava gli incassi dei diritti tv. La gente non ce l’ha con i giornalisti, ma il governo sì: ha respinto alla frontiera vari colleghi tra cui uno della Stampa che aveva intervistato un oppositore. Il visto è poi arrivato a fatica, ma forse solo perché la proprietà  del giornale è la Fiat. Cioè la Ferrari che domenica corre.


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