Confindustria e banche sul piede di guerra

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ROMA – Sull’articolo 18 ha vinto di nuovo la Cgil. Nel 2002 con l’oceanica manifestazione di Sergio Cofferati al Circo Massimo; ieri, d’intesa con il Pd di Pier Luigi Bersani, facendo reinserire la possibilità  del reintegro nel posto di lavoro anche nei licenziamenti di natura economica. Eppure la confederazione ha scelto la linea del no comment: «Aspettiamo di leggere il nuovo testo del disegno di legge», spiegavano gli uomini della Camusso. «Perché basta una virgola nel posto sbagliato o un aggettivo di troppo per cambiare il senso della legge. Meglio aspettare». Linea che ha ribadito lo stesso segretario in serata a Bologna. Anche se ieri Bersani ha parlato di «passo avanti importantissimo che chiunque non potrà  non osservare». Quindi anche la Cgil.
Chi non ha aspettato a dire la sua, invece, è stata la Confindustria che, insieme alle banche, alle cooperative e alle assicurazioni, è andata all’attacco delle modifiche decise dal governo nel vertice di maggioranza di martedì notte: «Tra queste – hanno scritto in una nota comune – sono inaccettabili, in particolare, la diversa disciplina per i licenziamenti di natura economica e quella che va complessivamente configurandosi per i contratti a termine, specie per quelli aventi carattere stagionale».
Il nervosismo sul versante sociale ieri è stato almeno pari a quello dei mercati. Che non hanno affatto risentito del varo della riforma del mercato del lavoro. Nel giorno in cui la Banca centrale europea (Bce) ha lasciato inalterati all’1 per cento i tassi nell’euro zona, le Borse europee hanno chiuso tutte in negativo ( – 2,42 per cento Milano) per colpa del nuovo allarme-Spagna. Lo spread, così, è tornato a salire a 358 punti base con il rendimento dei Btp decennali al 5,37 per cento. «Il risanamento non è concluso», ha avvertito il presidente della Bce, Mario Draghi, dal quale è arrivato un implicito, ma significativo, appoggio alla riforma del nostro ministro del Lavoro, Elsa Fornero: «La flessibilità  e la competitività  del mercato del lavoro – ha detto – sono cruciali per il funzionamento dell’area euro».
Confindustria nervosa e cautela in Cgil, dunque. Anche se era difficile ieri non cogliere nel palazzone di Corso d’Italia la soddisfazione per una battaglia sostanzialmente vinta. Il gioco di sponda con il Pd ha funzionato. Ieri mattina Bersani e la Camusso si sono sentiti al telefono. Il leader del Pd ha voluto illustrare direttamente al segretario della Cgil le linee dell’accordo politico raggiunto in nottata con il premier Mario Monti e gli altri due partiti di maggioranza, Pdl e Udc. Alla Camusso è parsa una soluzione «positiva» ma nemmeno in quella e in altre conversazioni private si è sbilanciata. D’altra parte questa è stata la sua grande partita. Cominciata in totale solitudine e via via proseguita con una squadra ingrossata. Non era per nulla scontato. Lo stesso ministro Fornero ha rimarcato ieri più di una volta nel corso della conferenza stampa che solo la Cgil aveva espresso il suo dissenso sul verbale proposto dal governo a Palazzo Chigi qualche settimana fa. 
Negli ultimi giorni la Cgil aveva messo in moto la macchina per l’organizzazione della mobilitazione in vista dello sciopero generale previsto per maggio. Aveva iniziato a scegliere i manifesti e gli adesivi per le iniziative a difesa dell’articolo 18. La parola-chiave era “reintegro”, talvolta scritta a caratteri cubitali. La parola che non c’era nella proposta iniziale del governo per tutti i licenziamenti illegittimi e che invece è stata reinserita “a forza” ieri. Proprio per questo la Confindustria ha reagito in maniera stizzita, pur sapendo che nella versione precedente c’era pure il rischio di incorrere nel giudizio di incostituzionalità  da parte della Consulta. Ma il reintegro in tutti i casi di licenziamenti illegittimi era diventato il simbolo, anche ideologico, di questa disfida. Susanna Camusso l’ha ripetuto in maniera netta anche ieri da Parma: «Il licenziamento illegittimo deve essere sanzionato con il reintegro: su questo non transigeremo». Era quello l’obiettivo che alla fine la Cgil ha raggiunto. Solo in un secondo momento, pressate dalle rispettive basi, pure le altre confederazioni, Cisl, Uil e Ugl, si sono attestate sulla medesima linea e ieri Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti hanno apprezzato il dietro front del governo, mentre è rimasta critica l’Ugl. La concertazione sarà  andata in soffitta, come ha detto anche ieri Monti, ma certo i rapporti di forza (questa volta nella politica) hanno giocato a favore della Cgil. Che, infatti, quando ha annunciato lo sciopero generale, aggiunse che avrebbe chiesto sostegno a tutte le forza parlamentari. Nella notte tra martedì e mercoledì Monti è stato molto chiaro nel corso di una telefonata burrascosa con il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia: «Devo cambiare perché altrimenti il Pd non regge». Non il Pdl che con il segretario Angelino Alfano ha infatti ricordato: «Noi avremmo approvato anche l’accordo precedente».


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