Quell’accisa per costruire l’Autosole che ancora si paga

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Fino 20-25 anni fa, quando il mercato del petrolio era caratterizzato dallo scambio fisico del bene, tutto era più semplice. Il petrolio veniva acquistato dalle grandi compagnie, che a quel tempo detenevano circa il 70-75% dei giacimenti, secondo i contratti «take or pay». Per l’estrazione di petrolio servono grandi investimenti in tecnologie e lavoro. I contratti erano tali per cui la compagnia acquistava le quantità  di petrolio per un determinato numero di anni. Fino a 20-25 anni fa il prezzo del petrolio era fissato dal profitto che doveva ricavarne l’impresa che estraeva e da quello che ricavava l’impresa della raffinazione. Questa aveva guadagni elevati. Tutto cambia appunto circa 25 anni fa, per tre motivi. I giacimenti di petrolio per il 70-80% non appartengono più alle grandi imprese che lo estraggono, ma agli Stati, e per gli Stati è molto più facile imporre i propri prezzi. Ma soprattutto è cambiato il sistema di vincoli sulla raffinazione. In primo luogo ci sono quelli di tipo ecologico. Ricordo la preveggenza che ebbero 25 anni fa l’Eni e la Shell, quando eliminarono le parti più dannose che si potevano estrarre dal petrolio, prima che fosse loro imposto per legge. Da circa 15 anni i profitti della raffinazione non vengono dal processo industriale; coloro che gestiscono le pompe di benzina realizzano i profitti soprattutto vendendo attorno alla pompa una serie di beni di largo consumo. 
In Italia per comprendere il meccanismo che determina il prezzo della benzina va considerata anche l’imposizione fiscale. Negli anni 50 il governo giustificò l’aumento delle accise con la necessità  di finanziare l’autostrada del Sole. Quando l’autostrada fu terminata, però, le imposte rimasero, anzi sono sempre state soggette a un aumento costante. 
A tutto questo va poi aggiunto che da circa 25 anni il cosidetto mercato oligopolistico del petrolio non ha luogo più attraverso scambi di quantità  fisiche, ma con la finanziarizzazione dell’economia attraverso scommesse sul prezzo che il petrolio avrà . Si tratta l’idrocarburo attraverso un complesso meccanismo di strumenti finanziari chiamati «future». Questa finanziarizzazione sottrae influenza sul prezzo sia a coloro che detengono i giacimenti sia alle grandi compagnie, perché questi due attori sono condizionati dal comportamento dall’elemento finanziario. È quella che si definisce speculazione. 
Naturalmente tutto dipende anche dal regime fiscale. Come noto ci sono Paesi nei quali il prezzo della benzina gode di sussidi di Stato, in America Latina, in Nord Africa, ma anche negli Stati Uniti, dov’è possibile costruire raffinerie perché i margini degli impianti sono ancora elevati e la legislazione ambientale è molto meno costrittiva che in Europa. Agli elementi che determinano il prezzo va poi aggiunto il trasporto. Un tempo le raffinerie venivano costruite in prossimità  dei mercati in cui si pensava di vendere, oggi la benzina viene prodotta spesso lontano e questo non fa che accrescerne il prezzo. La stessa struttura delle imprese petrolifere è cambiata. Alcune grandi hanno abbandonato le loro reti di distribuzione e si sono concentrate sulle estrazioni e sulla vendita del petrolio, altre come l’Eni, la Shell o la Total hanno continuato a estrarre il petrolio, raffinarlo e distribuirlo. 
Alla base di tutto rimane, però, il regime contrattuale di acquisto di grandi quantità  di petrolio scommettendo sul suo prezzo futuro con meccanismi finanziari. La scommessa è che dopo la raffinazione sarà  possibile vendere la benzina con un profitto. L’imposizione fiscale è il fattore che più influenza il prezzo oggi e le variazioni sono determinate dall’eventuale orientamento al profitto a breve termine delle imprese distributrici. Ci sono imprese che preferiscono agire con un regime di sconti pur di garantirsi la massa dei consumatori ed altre che scommettono sul fatto che l’utente non ha molta scelta, quindi lo costringono a servirsi con un regime di prezzi più elevato. 
La concorrenza nella vendita della benzina è garantita dalle authority, in Italia abbiamo l’Autorità  per l’energia. Ma ci sono condizionamenti perché il mercato libero del petrolio non è possibile. I giacimenti non possono essere messi in competizione, sono là  dove madre natura li ha formati. Creare la concorrenza solo nella parte finale di questa industria è molto difficile, quindi il consumatore può venir danneggiato. Il prezzo in ultima analisi si gioca sul meccanismo dell’imposta. L’Italia è uno dei Paesi dove l’imposizione fiscale è più alta al mondo e questa situazione non può che riverberarsi anche sul consumatore. 
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