Imprese «arrabbiate e deluse»: «Adesso Monti ci riconvochi»

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«Rabbia e delusione». «Preoccupazione». È con un misto di sentimenti negativi che imprenditori, banchieri, assicuratori e coop accolgono le modifiche apportate la scorsa notte dal vertice dei “quattro” (Monti, Bersani, Alfano, Casini) alla legge sull’articolo 18. «Non è il verbale che abbiamo firmato a palazzo Chigi», spiegano, sottolineando che l’ultima volta che avevano incontrato il premier – quando il testo era stato illustrato alle parti sociali – avevano siglato «facendo un passo indietro», accettando cioè tutta una serie di aumenti di costi pur di ottenere in cambio un alleggerimento sui licenziamenti in uscita. «Che senso ha avuto, a questo punto, firmare quel verbale?». 
La delusione di Confindustria, Abi, Ania e Alleanza delle Cooperative si tocca con mano, tanto che in mattinata – prima che il premier e la ministra Elsa Fornero illustrassero la riforma ai giornalisti – le associazioni erano uscite con un comunicato congiunto: «L’impianto complessivo della riforma già  irrigidisce il mercato del lavoro riducendo la flessibilità  in entrata – spiegano – Queste maggiori rigidità  trovavano un logico bilanciamento nella nuova disciplina delle flessibilità  in uscita. A fronte di questo equilibrio, ci eravamo risolti a sottoscrivere il verbale che concludeva il confronto tra le parti. Le modifiche oggi prospettate vanificano il difficile equilibrio raggiunto e rischiano di determinare un arretramento piuttosto che un miglioramento, rendendo più difficili le assunzioni».
«Tra queste modifiche risultano inaccettabili – riprendono le quattro associazioni – la diversa disciplina per i licenziamenti di natura economica e quella che dei contratti a termine, specie per quelli aventi carattere stagionale (non sono stati esclusi, come era stato previsto inizialmente, dall’aumento dei contributi finalizzato a scoraggiarne l’uso, ndr). Se queste notizie fossero confermate – è la dura conclusione – non può che ribadirsi che al Paese serve una buona riforma e che, piuttosto che una cattiva riforma, è meglio non fare alcuna riforma».
A questo punto, secondo le imprese «il governo deve convocare di nuovo le parti sociali per illustrare il testo e le nuove modifiche». 
Le stesse preoccupazioni le ha espresse il Pdl, che pur avendo dato l’ok alla riforma chiede però, proprio per questo motivo, un maggiore “contrappeso” sulla flessibilità  in entrata: il partito guidato da Alfano ha presentato un documento in 7 punti in cui si chiede di rivedere le norme. Sulle partite Iva, si chiede di escludere dai nuovi paletti i «rapporti di consulenza» puri. Sull’apprendistato, il Pdl afferma che «costringere le imprese ad assumere almeno il 50% degli apprendisti costituirà  nei fatti una forte limitazione». Il Pdl punta poi a sopprimere «l’obbligo delle comunicazioni preventive previste almeno nel caso di part time», e afferma di «non condividere la logica di far costare di più il contratto a termine». Dubbi infine sulla cancellazione di alcune misure della Legge 30 e «sull’inclusione dei periodi di lavoro interinale nei limiti complessivi ammessi per il lavoro a termine».


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