Romney parla già  da sfidante Obama lo attacca: “Darwinista”

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NEW YORK – «Questo presidente ha una visione Stato-centrica». «Mitt Romney vuole il darwinismo sociale». Lo scambio di attacchi è ormai diretto, fra Barack Obama e lo sfidante repubblicano. Dopo il tris di vittorie nelle primarie di martedì, Romney ha scelto di ignorare i suoi rivali Rick Santorum, Newt Gingrich e Ron Paul. Anche il presidente è convinto che la partita interna alla destra per la nomination sia virtualmente chiusa, perciò accusa Romney nominandolo direttamente, un onore riservato all’avversario che a novembre vuole spodestarlo dalla Casa Bianca. I numeri lasciano pochi margini di incertezza. Vincendo Wisconsin, Maryland e District of Columbia (cioè la capitale federale Washington), Romney è a quota 655 delegati. Sono solo poco più della metà  della maggioranza assoluta necessaria di qui alla convention di agosto, gliene occorrono 1.144. Ma il secondo è Santorum a quota 278, ormai l’aritmetica lo condanna. Perciò Obama ha sfoderato subito l’artiglieria pesante contro l’avversario in pectore. «Il prossimo presidente, chiunque sia – ha detto Obama – erediterà  un’economia che si sta riprendendo, ma non è veramente risanata, dopo la più grave calamità  economica dalla Grande Depressione. Mascherato come un piano di riduzione del deficit, Romney vuole imporre al nostro paese una visione radicale, è darwinismo sociale». Cioè una spietata «selezione dei più forti», una società  dove lo Stato sta a guardare mentre i ricchi si arricchiscono ancora di più, le imprese dettano le regole, i più deboli vengono abbandonati al proprio destino. Il piano anti-deficit che Obama prende di mira è stato presentato dal deputato Paul Ryan del Wisconsin, astro nascente del partito repubblicano. Ryan ha fatto campagna a fianco di Romney ed è balzato in testa al toto-nomine dei vicepresidenti. È un ideologo radicale, ha solo 42 anni e Romney (che ne ha 65) nei comizi lo presenta dicendo «potrebbe essere mio figlio». Ryan compensa le debolezze di Romney perché viene da una famiglia operaia. Per attaccare Obama sul caro-benzina, Ryan usa frasi del tipo: «Non sono riuscito a fare il pieno perché al distributore la mia carta di credito si è fermata a 100 dollari». Un problema che Romney ignora, le carte di credito del multimilionario non hanno certo un tetto di spesa. Ma Ryan è ben più a destra di lui, un vero falco sulla spesa pubblica. Il suo piano prevede tagli di spesa di 5.300 miliardi in più rispetto a quelli già  pianificati da Obama nel prossimo decennio, darebbe un colpo fatale a quel che resta del Welfare americano: pensioni, assistenza sanitaria per gli anziani e i poveri. Perciò il piano Ryan da ieri è il bersaglio privilegiato dell’offensiva di Obama, che punta a caratterizzare Romney come il candidato dei ricchi, il leader dell’1%, l’alfiere di una minoranza privilegiata che vuole dissociarsi dal resto della nazione. Romney da parte sua accusa il presidente «di non avere fatto nulla per risolvere il disastro finanziario dei nostri programmi di spesa assistenziale», descrive Obama come un presidente «ostile alle imprese, ostile agli investimenti», promette di «rilanciare la vitalità  e il dinamismo dello spirito americano». 
Il calendario delle primarie repubblicane riserva solo un’ultima incognita: il 24 aprile si vota in Pennsylvania, lo Stato natale di Santorum, e l’italo-americano spera ancora che una vittoria lì lo possa tenere in gara, magari fino al Texas (maggio) dove sono forti gli elettori evangelici. I segnali che vengono dalla sua base non sono del tutto rassicuranti per Romney. Continua a verificarsi una bassa affluenza alle urne nelle primarie della destra: un dato anomalo, perché normalmente il partito che deve “riconquistare” la Casa Bianca è quello che ha la base più arrabbiata e motivata. Tuttavia anche Obama rischia. Nel 2008 la sua candidatura suscitò speranze così straordinarie, da attirare alle urne il 56% dei giovanissimi – la fascia di coloro che votano per la prima volta – e fra questi oltre i due terzi votarono per lui. Oggi la generazione più giovane è una delle più martoriate dall’ultima recessione. Anche se l’economia è in ripresa e dall’inizio dell’anno ha creato oltre 700.000 posti netti, il tasso di disoccupazione giovanile resta elevatissimo, quasi a livelli europei, una anomalia nella storia americana. In parallelo, non v’è traccia tra i giovani della “Obama-manìa” del 2008. Obama resta in vantaggio tra le donne, i neri, i latinos. Ma tutti gli osservatori sono concordi nel prevedere che l’elezione di novembre darà  un risultato di stretta misura, non un plebiscito. Infine c’è l’incognita della Corte suprema, che a giugno potrebbe bocciare la riforma sanitaria di Obama: il presidente ha già  evocato il rischio di uno “strappo istituzionale”, da parte di una Corte dove la maggioranza dei giudici di destra sembra in preda a una deriva radicale identica a quella che ha snaturato il partito repubblicano.


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