Se la democrazia è plurale, i partiti non bastano

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Vengono studiati, prospettati e applicati modelli alternativi del diritto pubblico, portatori di una contaminazione sempre più frequente pubblico-privato. Tale processo determina una trasformazione degli assetti istituzionali ed un progressivo allontanamento dai principi ispiratori della Costituzione. Si sperimentano processi di trasformazione del diritto pubblico, ed in senso più ampio delle responsabilità  statuali che, in presenza dell’attuale crisi economica, hanno mostrato tutta la loro fragilità  ed iniquità . In questo quadro sembra opportuno un forte sforzo di ripensamento, analisi e proposta.  Uno sforzo che sia ben consapevole dei mutamenti, dello sconfinamento e del ridimensionamento del diritto pubblico e delle categorie ad esso riconducibili. Ma l’obiettivo di questo necessario ripensamento non può essere quello di utilizzare la crisi per riproporre sic et simpliciter la forma di Stato sociale inveratasi in Europa nel secondo dopo guerra. Non è immaginabile la ricostruzione e il riemergere di un diritto pubblico identificabile unicamente con “più Stato e proprietà  pubblica” o semplicemente intendendolo come “ancella” dello Stato sociale; occorre piuttosto una ricostruzione della sua funzione attuale, in un quadro in cui l’erosione della sovranità  statuale e la crisi dei modelli della rappresentanza sono un dato imprescindibile.
Occorre immaginare nuove forme del diritto pubblico in un quadro in cui la democrazia partecipativa, nelle sue variegate espressioni e manifestazioni, tende ad infrangere le deboli intelaiature della democrazia della rappresentanza, nelle quali le categorie pubblico-privato si confondono. 
Occorre immaginare, e quindi contribuire a costruire, un diritto pubblico che svolga la sua funzione in presenza di istanze che tendono ed intendono “abbattere” l’ipocrita applicazione del principio della sovranità  popolare, perno della democrazia della rappresentanza che, anche nella forma del diritto pubblico sociale, aveva ben nascosto o comunque non impedito sostanziali diseguaglianze. Un diritto pubblico sociale comunque calato nel capitalismo e nella “Repubblica della proprietà “, dove la valorizzazione del capitale ha dominato la vita, le attività , la scala dei valori e i fini individuali e sociali.
Il principio della sovranità  popolare contiene un elemento di finzione ideologica, il popolo è differenziato in classi e gruppi minori, portatori di diversi e contrastanti interessi, il tutto secondo una ferrea logica escludente e gerarchica. Tale finzione non è superabile attraverso la rappresentanza e soprattutto attraverso la forma partito, intesa anche dai Costituenti come strumento servente unicamente alla dimensione della democrazia rappresentativa.
Dietro lo schermo della sovranità  popolare, si sono affermate volontà  particolaristiche di gruppi privilegiati, capaci di imporre orientamenti e indirizzi conformi ai loro interessi egoistici. Occorre, dunque, la volontà  di andare oltre le finzioni ideologiche, oltre il mito della sovranità  popolare e della rappresentanza, e ambire ad un modello che ponga tutti i cittadini concretamente in grado di concorrere su di un piano di effettiva parità  reciproca e quindi con piena e consapevole autodeterminazione alla formazione della volontà  popolare governante. 
Per parlare di reale partecipazione, al di là  delle finzioni ideologiche, è necessario che l’autodeterminazione dei cittadini diventi un fatto reale, soltanto in questo caso la partecipazione potrà  innalzarsi a diritto politico e a diritto sociale non manipolato da strutture intermedie. Nell’attuale quadro in cui si generano rigurgiti razzisti e xenofobi, stigmatizzati da un ricorso sicuritario e poliziesco del diritto pubblico, occorre immaginare politiche pubbliche tali da rendere effettiva la rappresentanza.Occorrono politiche pubbliche partecipate, espressione e garanzia dei beni di appartenenza collettiva, tali da fronteggiare la degenerazione di un sistema istituzionale nel quale i luoghi della rappresentanza contano sempre meno e le decisioni sono divise tra esecutivi e gruppi di pressione. Questo quadro impedisce l’affermazione di un governo pubblico partecipato e soprattutto il possibile intreccio virtuoso tra rappresentanza e partecipazione, unico modello in questo momento in grado di esprimere soggettività  politiche nuove, che non vogliono più delegare temi sui quali l’attuale sistema sembra inadeguato. 
Occorre far vivere la formula contenuta nell’art.1 della Costituzione, che ancora oggi sembra una semplice formula decorativa priva di coerenti sviluppi e perciò astratta, e soprattutto è necessario porsi come alternativa «…allo stabile e gerarchico ordinamento sociale, garantito se non da privilegi feudali certo dalla proprietà  e dalla cultura».
È necessaria, in questo quadro di frammentazione dell’interesse pubblico e di privatizzazione dei beni comuni, dei beni sovrani, dei beni sociali, venutosi a realizzare il più delle volte per irresponsabilità  del soggetto pubblico, la costruzione di una nuova forma del diritto pubblico e di nuove soggettività  politiche, che oltre la forma partito siano capaci di leggere le nuove forme del conflitto, del dissenso, della resistenza, di declinare le nuove categorie giuridiche, economiche, sociali, al punto da andare oltre il regime borghese proprietario dominus-bene, o comunque in grado di rappresentarlo a condizioni diverse. 
È necessario immaginare una nuova forma del diritto pubblico attraverso rinnovate soggettività  politiche, che tutelino e valorizzino quei beni di appartenenza collettiva e sociale, andando oltre le dicotomie pubblico-privato e proprietà  (titolarità )-gestione. E’ necessario un diritto pubblico che sappia rivolgere le sue funzioni oltre il pubblico e risulti, per l’appunto, capace di valorizzare le categorie dei beni comuni e la democrazia partecipativa, indispensabili per comprendere ed interpretare le nuove categorie del conflitto e del rapporto capitale-lavoro. Eguaglianza e giustizia sociale non possono più essere delegati esclusivamente alla rappresentanza e ai partiti politici. Si impone un forte ripensamento sulle soggettività  politiche: noi ci ci stiamo provando.


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