Dal Partenone alla crisi bancaria spagnola torna lo spettro del contagio di Eurolandia

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Alla fine, la sorte dell’euro dipende da quello che farà  Berlino. Tutto, infatti, dicono in coro analisti e commentatori, ruota intorno alle scelte che Angela Merkel si sentirà  di fare e dagli impegni che sarà  indotta a prendere. Questo vale per le possibilità  di una svolta nella politica europea anti-crisi, che la renda più attenta alle esigenze dello sviluppo e meno a quelle dell’austerità . Ma vale anche, nell’immediato, per gli strumenti necessari a tamponare la nuova tempesta finanziaria che rischia di scaturire dalla bancarotta, verso la quale, secondo molti, è inevitabilmente avviata la Grecia, quale che sia l’effettiva volontà  di partiti e governi ad Atene. Ieri, a Madrid, il rendimento sui titoli di Stato decennali ha sfondato quota 6,30 per cento, tornando ai livelli dello scorso novembre. Anche quelli italiani sono saliti, oltre il 5,70 per cento, ma il punto di rottura, oggi, in Europa, è in Spagna, in un sistema bancario che non ha ancora assorbito lo scoppio della bolla immobiliare degli anni scorsi e l’impatto che questo ha avuto sul sistema industriale – largamente fondato sull’edilizia – del Paese.

LA CRISI IMMOBILIARE
I mercati, infatti, sembrano convinti che neanche l’ultimo tentativo di risanamento delle banche, lanciato dal governo di Madrid (il quarto negli ultimi due anni) sia sufficiente. I 30 miliardi di euro di nuovo capitale richiesti alle banche non basterebbero, infatti, a coprire l’effettiva implosione dei valori immobiliari e, con essi, dei mutui erogati: in buona sostanza, i bilanci delle banche starebbero peggio di quanto ancora appaia. E lo Stato spagnolo, da solo, non ha i soldi per salvare le sue banche. E’ probabile che si giochi su questo fronte la partita dell’euro, se una bancarotta greca avviasse, con un effetto domino, la crisi di altri Paesi, fino a far saltare la moneta unica.

IL DEFAULT MORBIDO
In realtà , la bancarotta greca non è affatto scontata e, anche se avvenisse, non è la stessa cosa che si verifichi un default controllato o meno. La prima ipotesi – quella della bancarotta “morbida” – viene, anzi, considerata da alcuni la soluzione migliore per Atene: meglio che continuare ad accettare, come hanno sinora voluto i partner europei, una megarecessione da austerità . E l’ipotesi sembra far capolino anche nella posizione di alcuni partiti greci. Di cosa si tratta? Il bilancio greco, se non si considerano gli interessi sul debito, segna, oggi, un disavanzo limitato all’1 per cento del Pil ed è in via di riduzione. Nel momento in cui venisse raggiunto il pareggio, Atene potrebbe pagare stipendi e pensioni, senza aver bisogno di nuovi soldi in prestito. Potrebbe annunciare il default sui debiti in essere, chiedendo di restare nell’euro. Paradossalmente, ad essere colpiti non sarebbero i mercati, visto che gli investitori privati sono stati appena tosati dalla ristrutturazione del debito di due mesi fa, ma le istituzioni europee, Bce, in testa, che da quella ristrutturazione sono stati esentati. E’ disposta la Germania ad accettare di assorbire queste perdite, senza chiedere la cacciata della Grecia?
Una bancarotta, anche morbida, scatenerebbe, peraltro, i dubbi sui debiti pubblici degli altri Paesi europei. E l’effetto contagio sarebbe enormemente amplificato, nel caso di default non controllato, con uscita di Atene dall’euro. Di fronte alle spettacolo dei risparmiatori greci, che si vedono, dalla sera alla mattina, i conti correnti in euro, trasformati in dracme che valgono la metà , si scatenerebbe una fuga massiccia di risparmi e capitali verso i Paesi considerati più sicuri, come la Germania. Già  oggi, di questa fuga, abbiamo un segnale eloquente sul mercato dei titoli di Stato: al record verso l’alto dei rendimenti dei Bonos spagnoli ha fatto da contraltare, ieri, il record verso il basso dei Bund tedeschi, oggetto di una domanda sempre più massiccia.

LISBONA E DUBLINO
Quali sarebbero le prime vittime del contagio? Portogallo e Irlanda, oggi tenute in piedi dagli aiuti europei. Di fatto, però, Lisbona e Dublino sono già  tagliate fuori dall’accesso ai mercati e un’ondata speculativa le colpirebbe in misura limitata. Inoltre, gli 800 miliardi di euro del Fondo salva-Stati sarebbero sufficienti a metterle al riparo. Nonostante l’ottimismo dei funzionari europei, è dubbio, invece, che questi soldi siano sufficienti, se il contagio si allargasse, come è probabile, a Spagna e Italia. Perché sono proprio le banche spagnole (e, subito dopo, quelle italiane, pesantemente esposte verso il Tesoro) il bersaglio verso cui si dirigerebbe l’ondata di panico. Esistono gli strumenti per tamponare anche una crisi spagnola e italiana, a cui l’euro, probabilmente, non potrebbe sopravvivere? La risposta è sì e non include modifiche ai trattati esistenti. La Banca centrale europea dovrebbe annunciare – ed effettuare – corposi acquisti, sul mercato secondario, di titoli italiani e spagnoli. Contemporaneamente, dovrebbe aprire un rubinetto di liquidità  illimitata alle banche dei due paesi, per assicurarne la sopravvivenza. Alla lunga, la Bce rientrerebbe di questi prestiti, come è avvenuto per la Fed negli Usa. Ma l’impegno, anche se temporaneo, sarebbe considerevole. Se la sente, la Merkel, di accettarlo?

SONDAGGI OTTIMISTI
Anche se multinazionali e grandi banche stanno approntando piani di emergenza, per far fronte alla possibilità  di una fine dell’euro, i sondaggi condotti, ad esempio da Morgan Stanley e Credit Suisse indicano che i grandi investitori sono convinti che, alla fine, la moneta comune resisterà . Pensano, infatti, che la rinuncia all’euro sia un prezzo politico troppo pesante per Berlino. E’ possibile che sopravalutino l’impegno europeo della Germania.


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