Il cassonetto resta un mistero E il gas esploso non era gas

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Acinque giorni dall’attentato alla Morvillo-Falcone la speranza di trovare l’assassino di Melissa è affidata a tre piccole telecamere appese su un chiosco di panini. Le stesse che sabato mattina hanno ripreso l’attentatore mentre si sporge per guardare meglio le studentesse avvicinarsi al cancello dove aveva sistemato il cassonetto di plastica blu con un ordigno che farà  esplodere con una freddezza che mette i brividi. Da cinque giorni gli esperti della scientifica analizzano ogni singola sequenza risalendo indietro nel tempo fino a una settimana prima dello scoppio, tanta è la capacità  di contenere le immagini dell’hard disk delle telecamere. Centinaia, migliaia di fotogrammi passati al rallentatore sempre alla ricerca di qualsiasi situazione o persona sospetta. Per gli inquirenti sembra infatti impossibile che un attentato come quello messo a segno contro la scuola brindisina non sia stato preceduto da almeno qualche sopralluogo, pianificato nei minimi dettagli. L’analisi delle immagini potrebbe dare risposta anche al perché il misterioso attentatore sembri non preoccuparsi affatto della possibilità  che il suo volto rimanga impresso per ben 70 secondi, un tempo lunghissimo. «Pazienza, ci vuole tempo per arrivare a dei risultati» ripete in queste ore chi indaga, decisamente sollevato nel vedere come la pressione dei media si stia lentamente allentando consentendo una maggiore libertà  di movimento. Sì perché, per dirla con le parole di uno degli investigatori più esperti che si trovano a Brindisi, mancano ancora quegli elementi che consentono di circoscrivere un’indagine o di poter imboccare la pista giusta. Tutte le ipotesi sono ancora aperte: dalla mafia, al terrorismo, al gesto, seppure improbabile, di un folle. «Ci sono tante cose che non quadrano – spiegano gli inquirenti – non si riesce a capire l’obiettivo, la scelta di una scuola, che per chiunque l’abbia fatta dal punto di vista politico rappresenta un suicidio. E poi ci sono quelle immagini, la sfrontatezza del killer nel mostrare il viso alle quali non si riesce a dare risposta plausibile». Ieri davanti alla Morvillo-Falcone nuovo sopralluogo. Presenti tutti investigatori di razza: il capo dell’antiterrorismo Ignazio Coccìa, il direttore del servizio centrale anticrimine Francesco Gratteri, il vicecapo dello Sco Vincenzo Nicoli e il capo della mobile di Brindisi Francesco Barnaba. L’idea è che il movente sia legato alla scuola. Dalle indagini spunta una lite con il personale dell’istituto finita con un drastico: «Ve la farò pagare». Passi in avanti intanto sono stati fatti, anche se si attendono riscontri definitivi. Il cassonetto usato per nascondere le bombole, ad esempio, non è uno di quelli in uso a Brindisi ma è stato rubato in uno dei comuni della provincia. La Monteco, la società  che gestisce la raccolta dei rifiuti nel capoluogo pugliese ha fatto un controllo e risultano tutti al loro posto. Capire dove sia stato preso quel cassonetto non dovrebbe essere difficile. I contenitori di plastica come quello usato per l’attentato devono avere un numero progressivo con accanto il logo del comune di appartenenza. Il pezzo di plastica con impresso il numero è stato ritrovato dalla scientifica sopra un albero davanti alla scuola due giorni dopo l’attentato. Altro capitolo riguarda l’ordigno, tanto semplice quanto strano. Pare ormai certo che le bombole non erano piene di gas, il cui odore – dopo l’esplosione, non è stato avvertito da nessun testimone. Più di una persona ha confermato invece di aver sentito nell’aria odore di polvere pirica. Inoltre se le bombole fossero state piene di gas, l’esplosione avrebbe provocato un effetto napalm bruciando ogni cosa: così invece non è stato. La siepe posta proprio dietro il cassonetto con la bomba era integra, stessa cosa per un grande cartello pubblicitario che si trovava proprio sopra l’ordigno. E a parte le povere Melissa e Veronica (quest’ultima sta meglio ma ha perso le dita della mano sinistra), le altre ragazze riportano tutte sul corpo ferite da scheggia e non ustioni. Infine, la scientifica ha ritrovato sul marciapiede tracce di polvere pirica e ammonio. Prosegue intanto il lavoro degli psicologi per aiutare i ragazzi a superare il trauma dell’attentato. Un lavoro delicatissimo reso più difficile dal fatto che molti studenti non parlano più da sabato e si rifiutano di rientrare a scuola.


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