“I nostri mariti sono morti di Stato” in piazza la rabbia delle vedove bianche

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BOLOGNA – «Mi è rimasta solo una macchia nera». Di plastica carbonizzata con schegge di vetro verdi, in un posteggio di periferia. Tiziana Marrone non osa calpestare l’altare oleoso del suo Giuseppe, là  dove, nella Punto parcheggiata davanti agli uffici tributari, suo marito si immolò nel fuoco il 28 di marzo, chiedendo perfino scusa ai suoi persecutori fiscali. «Anzi no, mi è rimasta un’altra cosa: la paura. Una paura enorme, un macigno di paura». Perché adesso vorranno da lei quelle molte decine di migliaia di euro di tasse non pagate, multe e interessi che Giuseppe Campaniello il muratore di Ozzano non avrebbe mai potuto rimborsare. «Io non odio nessuno, ma voi, voi che avete il potere, fatemi vivere», Tiziana ricaccia giù un singhiozzo, è una donna volitiva, grintosa, non mollerà . «Cosa vogliono ancora da me, anche mio marito si sono presi, ora basta».
È l’ultima ad andarsene dal piazzale. La “marcia delle vedove”, che il britannico Guardian ha chiamato recession widows, è finita. Le vedove degli imprenditori suicidi per la crisi, per i debiti, per le tasse, non c’erano. C’erano alcune decine di persone, solidali o arrabbiate, ma le vedove della crisi, contattate una per una, alla fine non sono venute. «Si sono scusate, non ce la fanno ad apparire in pubblico, una s’è sentita male, e poi costa venire a Bologna, e non abbiamo soldi neppure per vivere». C’erano tivù da mezzo mondo, invece, non è un buon segno, vedono l’Italia come la prossima Grecia, la mattanza degli indebitati fa notizia. 
Il corteo dovrebbe partire alle dieci, tarda oltre un’ora. Il piazzale dell’ospedale Maggiore, dove Giuseppe fu ricoverato in fin di vita, è invaso da postazioni per interviste e Tiziana fa il giro, sa che è l’unica sua carta. Parla per quelle che non ci sono: «I nostri mariti non erano depressi, non erano pazzi, anzi vedevano lucidamente la situazione e capivano che non c’era scampo. Ma non hanno scelto di morire: qualcuno ha lasciato loro una sola scelta». Sono «morti di Stato», non ha paura di usare un’espressione nata in altri tempi bui. 
Bandierine bianche fatte in casa: erano per le vedove, nelle intenzioni di Elisabetta Bianchi, anche lei figlia di piccolo imprenditore, che ha aiutato Tiziana a organizzare questa marcia di dolore e di paura e di rabbia. Altre donne si prestano a portarle. «Siamo vittime sacrificali»: una viene da Sorbara, marito in edilizia, nei guai come tutti. Un’altra, bolognese, paga 150 euro al mese su 500 di pensione per un contenzioso antico col fisco, «non hanno pietà …». Quella col volto del marito tatuato sull’avambraccio è Lucilla Raffagnini, l’unica altra vedova nel corteo, anche se suo marito Gabriele, operaio, non si uccise per debiti, ma perché la sua invalidità  non fu riconosciuta, «mi ha scritto che non era un vigliacco, ma che c’è un limite a tutto». Mariagrazia Naldi, 67 anni, ha issato la bandierina sulla bicicletta: «A mio figlio è arrivata una contestazione da 200 mila euro, è ingegnere informatico, è sempre in giro per il mondo, non riesce a star dietro ai conti, non ce la farà , mi ha telefonato che vuole morire…», scoppia in lacrime, «ma aspetta un figlio…». «Il prossimo sono io, ma porto con me altri cinque o sei, siete avvertiti», minaccia un uomo agitato, sventolando un bollettino di Equitalia. «Io mi dissocio da quel che ha fatto quell’uomo a Bergamo, anche se posso capire lo stato d’animo», Tiziana non incita alla rivolta. «Giuseppe era un uomo tranquillo, ha scritto “lasciate in pace mia moglie”, voleva solo proteggermi. Non mi ha mai parlato dei suoi problemi. Non fatelo mai: se vi trovate in quelle condizioni, parlate con la vostra famiglia…». 
Lento, dietro uno striscione col volto di Giuseppe, il piccolo corteo arriva a destinazione, davanti a una specie di bianco castello dove una volta c’era l’Agenzia delle entrate. «Non s’affaccia nessuno!», «Si vergognano!», ma adesso ci sono le Commissioni tributarie, che sono un’altra cosa, il presidente Aldo Scola riceve Tiziana ed Elisabetta e cerca di consigliare: «Ricorra in appello… C’è il garante del contribuente, lo sapeva?». «È un imbroglio per tenerci buoni», rumoreggia la piccola folla. Si raccolgono firme. Chiedono una targa ricordo in ogni città . Faranno un libro. Hanno scritto al Papa, gli raccontano del «rapporto tra Stato e cittadino, diventato un campo di battaglia», «ma i morti sono da una parte sola», aggiunge Tiziana. Un tale da Bergamo indossa una maglietta con la scritta “Le tasse sono un furto”, una signora si ribella, «le tasse bisogna pagarle!», viene subissata di male parole.
«Le tasse si devono pagare, ma bisogna poterle pagare», Tiziana parla con tutti e ne ha ancora, «mio marito avrà  fatto errori, in buona fede, ma a me non ha mai detto nulla, non so nulla. Ma so che chi evade alla grande ha i soldi per buoni avvocati e se la cava, chi viveva al limite schianta sotto le multe che triplicano il dovuto, e nessuno lo aiuta a rialzarsi. L’Italia è un colabrodo, ma chi li ha fatti i buchi? Chi li deve tappare? Prendono i soldi a chi ne ha pochi, ma i ricchi si salvano e magari stanno ridendo di noi». Nella lettera al Papa non hanno osato dirgli cosa succede poi. Hanno scritto solo che tanti hanno scelto l’«estrema risorsa». Il Papa è intelligente, capirà .


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