Rebus Grecia Trema l’euro

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Il sentore era fortissimo, praticamente una certezza. Ma la conferma di Fitch, agenzia di rating statunitense, toglie ogni dubbio residuo: gli investitori «stranieri» stanno smantellando le loro posizioni sui titoli di stato spagnoli e italiani. Più sui primi che sui secondi, viene precisato. E anche questo era già  scritto nell’andamento dello spread , con i Bonos oggi più penalizzati, al contrario di quanto avveniva in presenza del Cavaliere a palazzo Chigi. Nel primo trimestre dell’anno è infatti proseguito un trend iniziato nella seconda metà  del 2011 e solo le operazioni di finanziamento da parte della Bce (prestiti per 1.000 miliardi al tasso dell’1%) ha consentito alle banche nazionali di sostituire gli «internazionali» in fuga. Addirittura migliorando i propri bilanci. Ma se nel 2008 la percentuale di debito iberico detenuta da capitali esteri arrivava al 60%, ora si attesa a poco più del 34. Un po’ meno drastica la caduta del debito italiano, che si trovava «fuori casa» per il 50% nel 2008 ed era cominciato a fuggire poche settimane prima che Berlusconi fosse costretto a uscire dal bunker con le mani alzate. Da allora l’emorragia ha rallentato molto, ma non si è mai fermata del tutto. Segno che, nonostante i salassi imposti da Super-Mario, questo paese non convince «i mercati». Fitch arriva a consigliare l’uso del fondo salva-stati (Esm) per… salvare al loro posto le banche; una terapia che, unita alle ovvie «riforme strutturali» e al «consolidamento di bilancio» potrebbero forse invogliare i fuggitivi a tornare ad acquistare titoli italici. Le reazioni della Ue le potete leggere nell’articolo da Bruxelles, ma anche il Fondo monetario internazionale (Fmi) ammonisce sui rischi connessi a un’uscita mal gestita della Grecia dall’euro. Christine Lagarde, direttrice del Fondo, vede un pericolo di «contaminazione» se, come sarebbe per molti versi logico, diversi paesi dovessero aumentare la propria quota di «aiuti» ad Atene per farla rimanere dentro la moneta unica. Le perdite, in caso di uscita, sarebbero fortissime; in pratica tutti gli aiuti già  concessi sotto forma di prestiti. L’alternativa è secca: aumentare gli aiuti per evitare lesioni «all’integrità  dell’euro». La Bce, intanto, ha creato al proprio interno un «comitato» completamente dedicato alla questione greca, e questa è la buona notizia; la cattiva è che a presiederlo è stato chiamato il rappresentante di Berlino, Joerg Asmussen. Bundesbank analizza ormai pubblicamente il problema greco, definendo l’uscita di Atene dall’euro un problema «allarmante, ma gestibile». Il punto di svolta o rottura è ovviamente individuato nella ripetizione delle elezioni politiche, a metà  giugno. Se dovessero prevalere i partiti contrari a obbedire ai diktat della troika (Bce, Ue, Fmi), approvati dai governi precedenti, «verrebbe messo in discussione il proseguimento del programma di aiuti e la Grecia dovrebbe sopportarne le conseguenze». Ai tedeschi, in fondo, va benissimo la situazione attuale. Ieri Berlino ha collocato sul mercato 4,5 miliardi di bund a due anni a interessi zero. Non dovrà  insomma pagare alcun interesse ai sottoscrittori, unico tra i paesi del continente ad avere questo privilegio. I bund funzionano infatti da bene rifugio, e c’è molto capitale in giro in cerca di un «porto sicuro»; quando lo si trova si è disposti persino a rinunciare a guadagnarci qualcosa. Ovviamente, il famigerato spread tra i titoli tedeschi e quelli dei «latini» è tornato a salire (oltre 430 punti quello per i Btp italiani, a 480 i Bonos spagnoli). In una situazione di incertezza finanziaria come questa è inevitabile che l’economia reale – la produzione di nuova ricchezza – venga guardata con un sovrappiù di attenzione. L’Europa stagnante o in recessione non fa più notizia, ma il fatto che la Cina sia attesa per quest’anno a un «rallentamento» è decisamente più preoccupante del debito greco. Sia chiaro: Pechino è considerata capace di una crescita dell’8,2%, nel 2012. Ma viene da un 10,4 nel 2010 e da un +9,2% l’anno scorso. La tendenza alla frenata è chiarissima. E non ci sono molte altre «locomotive», in giro. La Germania, che proprio ieri ha confermato la prosecuzione dell’onda positiva con cui ha aperto il nuovo anno, non riuscirà  comunque a sollevarsi più di tanto (le stime superano di poco l’1%). Analizzando i dati ci si accorge che questa modesta crescita è trainata soprattutto dai consumi; anche perché i recenti rinnovi contrattuali hanno fatto scattare aumenti retributivi di oltre il 4%. Roba che se lo sapessero alla Bundesbank…. A conferma c’è la forte caduta dei prezzi delle materie prime: se si pensa che la recessione durerà  a lungo, se ne consumeranno meno, quindi la domanda cala e il prezzo anche. Dopo anni, il petrolio Wti è sceso sotto la soglia dei 90 dollari al barile, mentre il Brent è tornato vicino ai 100. Persino l’oro ha perso quasi il 2%, nonostante abbia tutt’altra funzione economica. Il tracollo delle borse era dunque impossibile da frenare. Tra le peggiori di tutte ancora una volta Milano, che ha lasciato per strada il 3,7%, più di quel che aveva guadagnato nella trionfale giornata di martedì. Colpa anche di IntesaSanpaolo e Unicredit, che hanno venduto le proprie quote del London Stock Exchange (la borsa è di una società  privata come tutte le altre, non un «luogo imparziale»), facendo crollare anche la piazza inglese (-2,5).


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