ASSAD E LA SINDROME IRACHENA

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Per dar forza alle sue parole Edouard si calcava il cappello sulla testa calva. Col tempo i mesi erano diventati anni, perché Hafez el Assad, catturato nel ‘71, con la forza, il potere nel nome di una “rivoluzione riparatrice”, era sempre in sella a Damasco. Ed era tanto solido e prepotente, dietro l’espressione da gattamorta, da meritare il titolo di “Bismarck d’Oriente”, mentre il bravo Edouard continuava ad arrancare nella Beirut insanguinata, dove dirigeva il quotidiano l’Orient – Le Jour. Il proiettile sparato in quel maledetto “passaggio del Museo” da chissà  chi (forse da un cristiano come la vittima, forse da un musulmano, sciita o sunnita, forse da un siriano, non si sa mai) avrebbe dovuto cancellare la sballata profezia di Edouard, e invece è rimasta un chiodo fisso nella mia mente.
I mesi si sono allungati in anni, poi in decenni, cosi sono volati via più di quarant’anni. Ed io mi scopro ancora a pensare che no, gli Assad, non resteranno più tanto a lungo al potere. La stagione politica sembra propizia. Quando Edouard era in vita non pensavamo alla “ primavera araba”, grazie alla quale adesso Edouard finirà  con l’avere ragione. Ce ne è voluto del tempo. C’è stata persino una successione, come in una famiglia reale, con i diplomatici di mezzo mondo che portavano regali e gli auguri ufficiali dei loro governi. Hafez è morto nel suo letto, e gli ha dato il cambio Bashar, il figlio, il quale rischia una fine molto più agitata.
Quando nell’82 si scopri che il vecchio Assad aveva fatto massacrare ventimila tra uomini e donne nella città  di Hama, dove i Fratelli musulmani si erano ribellati allo strapotere di Damasco, pensai, e non fui il solo, che presto o tardi qualcuno avrebbe vendicato i sunniti sepolti sotto le rovine di Hama da centinaia di bulldozer. Eppure sono passati più di trent’anni e gli Assad se la sono cavata. Almeno finora. Penso che a proteggerli sia stata anche la loro fama di rais “laici”. Eh sì, laici. Una specie di licenza di uccidere veniva infatti accordata ai capi arabi considerati laici. Si pensi a Saddam Hussein che quando, negli anni Ottanta, sfidò la teocrazia iraniana di Khomeini ebbe la simpatia dell’Occidente. Il suo partito, il Baath, non era forse laico e considerato eretico da molti musulmani zelanti? E il Baath (sia pure in una versione siriana, diversa da quella irachena) era anche il partito degli Assad. Una prova di laicità  guardata con un certo interesse, anche se con diffidenza, da chi temeva l’ondata islamista. Ai Fratelli musulmani, non sempre rinsaviti, non sempre moderati, gli Assad, padre e figlio, non hanno mai risparmiato la galera o nei casi estremi la sepoltura con il bulldozer. Veri laici d’ Oriente.
Generale d’aviazione, Hafez aveva lo sguardo celestino. Due ferritoie e due occhi fissi. Pugnali avvelenati col sorriso. Il figlio Bashar è un medico. Ha l’aria di un bravo ragazzo. Persino un po’ pirla. Un simpaticone, fino al giorno in cui l’esercito ereditato dal padre ha esagerato, accelerando la dinamica omicida. In realtà  sempre in servizio permanente. A cominciare le “primavere arabe” non sono stati i Fratelli musulmani. Sono stati i giovani figli del web, un tempo si sarebbe detto giovani di sinistra, adesso è più appropriato l’altrettanto generico aggettivo “modernizzati”. I Fratelli musulmani e i derivati integralisti, salafiti ed altri, si sono intromessi nella folla in rivolta. Avevano sulle spalle anni, decenni di galera e di torture e avevano il diritto di ribellarsi. La mischia egiziana, come l’antesignana mischia tunisina, ci hanno già  insegnato come sono andate e come vanno le cose. La mischia siriana è però una miscela molto più esplosiva. La Damasco di domani fa pensare alla Bagdad di ieri. Dove tutti i terroristi trovavano infine un terreno di manovra. Nelle capitali per bene non ci si pronuncia in favore di Assad. Neppure a Tel Aviv si osa, anche se discutere con la famiglia Assad è per il governo di gran lunga più semplice che trattare domani con degli islamici eccitati, ansiosi di riconquistare il Golan. Israele non vuole essere distratta dal suo obiettivo, che resta la bomba iraniana.
Soltanto a Pechino e a Mosca ci si azzarda ad avanzare obiezioni sull’opportunità  di frenare la Siria che uccide i suoi abitanti. I russi hanno il porto siriano di Tartus, dove si riforniscono le loro navi nel Mediterraneo; in verità  poca cosa, dicono gli esperti; ma, come Pechino, anche Mosca tiene alla Siria alleata dell’Iran; e l’Iran giudica preziosa la Siria che le consente di comunicare con i suoi alleati sciiti del Libano, i famosi Hezbollah. Con la Siria di Assad l’Iran si sente meno solo. Per questo impegna uomini e mezzi in suo favore. C’è chi descrive Bashar el Assad politicamente
agonizzante. Ma fin che il grosso dell’esercito è al suo fianco può resistere. Di giorno in giorno cresce tuttavia il rischio che le forze armate ereditate dal padre lo abbandonino. Questo dicono e temono amici e nemici. La Siria ha tanti confini. Gli interessi dei paesi limitrofi non sono sempre chiari. Non coincidono sempre con quelli di Damasco. Cambiano secondo le stagioni. Ma tutti hanno paura di una Siria in preda all’anarchia. Dopo l’invasione americana l’Iraq è governata da sciiti, sensibili ai richiami dell’Iran, anche se non asserviti ai suoi interessi. L’orgoglio ha i suoi diritti. Sulla sponda dell’Eufrate il regime di Assad trova dunque una mano tesa, che può tuttavia rivelarsi ambigua. Un po’ d’America è sempre presente a Bagdad.
Il mondo sunnita è ostile. Odia Assad, amico degli eretici sciiti. Attraverso le frontiere con la Turchia, la Giordania e il Libano l’andirivienti
delle varie intelligences è intenso, nevrotico, ansioso. L’Arabia Saudita, roccaforte e banca del sunnismo, dispiega tutti i suoi mezzi occulti per aiutare gli insorti, purché siano islamisti. La Turchia è più prudente e meno integralista. E’ facile agli uomini di Al Qaeda inserirsi nella variegata opposizione armata. E la Cia, da tempo attiva, tra i Fratelli musulmani moderati, si scervella per escogitare una “menaged transition” tra quelle che considera le correnti ragionevoli, al fine di evitare il vuoto creatosi nella Bagdad liberata da Saddam Hussein e subito preda del terrorismo. Il capo della Cia è oggi il generale Petraeus, quello che in Iraq staccò i saddamisti moderati dai terroristi di Ala Qaeda. La sua esperienza può rivelarsi preziosa. Ma nell’Oriente complicato, come nell’Occidente che pensa di non esserlo, nessuno sa come le rivoluzioni finiscono.


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