Da Madrid al Mar Nero quegli zaini del terrore che seminano stragi

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WASHINGTON – Il kamikaze occidentale, che pare abbia fatto saltare anche se stesso senza volerlo affatto, e invece assassino volontario, è ancora senza un nome, a parte quello sicuramente falso stampato di Jacque Felipe Martin su una patente di guida del Michigan che dà  come indirizzo privato quello di un casinò in Louisiana e su un passaporto americano, altrettanto dubbio. Ma chiunque egli sia, lo spostamento d’aria e di ansia prodotto da una conflagrazione partita da un sacco a spalla, arriva diretto alla città  che sta contando le ore che la separano dalle cerimonia di apertura, la sera di venerdì 27 prossimo, come il ticchettio di un arancia a orologeria. Londra.
La storia che i media israeliani avevano diffuso, informati da un governo che aveva subito cercato di indirizzare lo sdegno verso l’Iran nonostante le smentite di Teheran, era stata quella di dare l’identità  di Mehdi Ghezali al giovane di 30
anni con i lunghi capelli ondulati che si vedono svolazzare nel suo nervoso passeggiare avanti e indietro nell’aeroporto di Burgas in Bulgaria ripreso dalle telecamere di sorveglianza. E sembrava scritta da una sceneggiatore che volesse far rabbrividire Londra, i turisti, e i frastornati responsabili della sicurezza impossibile. Mehdi era tutti e nessuno, il perfetto mostro della fallita integrazione multirazziale europea, un algerino con sangue finlandese, un rigurgito di Guantanamo, prima catturato nel 2009 dagli americani nelle valli di Tora Bora, l’antico territorio di caccia di Osama bin Laden, e poi imprudentemente rilasciato nel 2011, su pressioni del governo svedese, che ora informa seccato di non saperne nulla. Anche il nome, lanciato da giornali bulgari e subito ripreso in Israele con abbondanza di dettagli, non è quello, avverte il governo di Sofia. La sola certezza è che egli portasse con sé, nel video dell’aereoporto, l’esplosivo che avrebbe poi usato sul minibus, uccidendo, insieme con sé, sette turisti.
C’è dunque sicuramente il
backpack,
quel simbolo universale della normalità , della giovinezza, della vacanza, lo zainetto, che vedremo naturalmente a centinaia
di migliaia di esemplari nelle vie di Londra, rendendo impossibile ogni controllo individuale. È in quell’umile accessorio che oggi, grazie alla strage di Burgas, torna la paura e riprende forma una delle armi predilette dai seminatori di stragi.
Sconfitti, o limitati, i rischi di esplosivi solidi o liquidi o armi trafugate in aereo,
come la bomba negli orsacchiotti di peluche o nei computer portatili, che il non rimpianto colonnello Gheddafi fece utilizzare per uccidere i 259 passeggeri del volo Pan Am 103 sopra Lockerbie nel 1988, venne il momento delle scarpe con suole imbottite di tritolo o delle mutande esplosive. Furono assalti sventati dalla prontezza di un’assistente di volo e poi
dalle indagini preventive della Cia. Anche l’orrore dei gilet carichi di candelotti è tramontato. Soprattutto per la difficoltà  di occultare le cariche sotto gli abiti e di trovare fanatici disposti a immolarsi insieme con le vittime.
Resta, come strumento d’elezione per chi vuole uccidere ma non ha il demente coraggio di uccidersi, l’innocente zainetto.
Fu in sacchi a spalla che vennero nascoste nel cumulo dei bagagli le bombe che devastarono la stazione di Atocha, a Madrid, nel 2004. E di nuovo furono utilizzati i
backpack,
gli zaini, per attaccare Londra, sette anni or sono, in quegli attentati a mezzi pubblici che oggi tengono svegli la notte la polizia, i servizi di sicurezza, i militari di Sua Maestà  britannica.
Sono già  stati venduti, attraverso i siti online, più di 150mila esemplari di zainetti con il simbolo delle Olimpiadi di Londra, l’orrenda mascotte “Wenlock”, mostriciattolo monocolo come un ciclope battezzato come il villaggio dello Shropshire dove fu organizzata un preolimpiade centotrenta anni or sono, e dietro quell’occhietto fisso e cattivo del pupazzo, qualunque minaccia si può nascondere. Se l’esplosivo non deve essere trasportato in aereo, a mano o nei bagagli che sono controllati, ma può essere contrabbandato in altro modo od ottenuto sul posto dell’attentato, lo zainetto è il contenitore ideale, come lo sconosciuto dai lunghi capelli ha dimostrato.
Il suo vantaggio, sopra tutti gli altri
strumenti usati dal terrorismo e soprattutto del gilet al tritolo, è di essere azionabile a distanza, evitando il suicidio del criminale. In più, a differenza di giubbetti, animali di peluche, apparecchiature elettroniche, può nascondere il vero incubo di ogni comunità : materiale radioattivo. È purtroppo noto a tutti che pochi grammi di plutonio possono rendere tossica e imbevibile l’acqua dei serbatoi e delle riserve.
Ed è proprio nella sovrapposizione fra il più innocente degli accessori, lo zaino, e il più micidiale degli ordini, la misura dell’ansia che la strage di Burgas ha suscitato.
Haaretz,
il quotidiano israeliano di opposizione, aveva fiutato qualcosa e accusato il Premier Netanyahu di additare l’Iran per nascondere il fallimento dei propri servizi che non hanno saputo proteggere quei cittadini volati in Bulgaria, così come qualcuno aveva subito preparato munizioni contro Obama per avere imprudentemente svuotato, anche se non del tutto ancora, le gabbie di Guantanamo. Il mistero, per ora, rimane, insieme con una certezza. Qualcuno, ha messo l’esplosivo per la strage a una settimana dalle Olimpiadi. In uno zainetto.


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