«Con la riforma meno burocrazia e dipendenti»

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ROMA — Province ridimensionate e dieci nuove città  metropolitane: Roma, Milano, Napoli, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Bari e Reggio Calabria. Nel decreto sulla spending review, al voto oggi al Senato, è prevista anche una piccola rivoluzione dell’assetto istituzionale locale. Cambiamenti che provocano qualche malumore — sia da parte di chi li voleva più radicali sia da parte di chi li contesta — ma che vengono rivendicati con forza da Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia e delegato per le città  metropolitane dell’Anci, l’associazione dei Comuni. 
Che vantaggi porteranno le città  metropolitane?
«Sono un’innovazione forte e importante, che si aspettava da 22 anni. Costituiscono una ristrutturazione in senso moderno e un segnale importante sulla volontà  del nostro Stato di affrontare questo momento di crisi». 
Ma porteranno vantaggi anche economici?
«Certo. In un primo momento il personale delle Province defluirà  nelle città  metropolitane, ma in prospettiva ci sarà  un forte risparmio di personale. Ma non sarà  l’unico vantaggio». 
Gli altri?
«La nostra economia ha bisogno soprattutto di una razionalizzazione e di uno sveltimento delle procedure, nel rilascio delle autorizzazioni e nei controlli riservati al soggetto pubblico per le iniziative economiche dei privati». 
Non era meglio abolirle del tutto, le Province?
«Fosse stato per me, sarei stato più radicale e le avrei abolite tutte. In tutto il mondo ci sono solo due livelli di governo locale, i Comuni e le Regioni. Modello organizzativo più che sufficiente». 
Come saranno organizzate le città  metropolitane?
«Abbiamo immaginato un modello molto flessibile. I Comuni capoluogo già  oggi hanno capacità  operative che vanno al di là  del loro territorio e sono azionisti di maggioranza delle multiutility e dei servizi di trasporto. Con questa riforma avranno una capacità  di coordinamento delle funzioni dei Comuni, senza un ente intermedio».
Che organi avranno?
«Il sindaco metropolitano, che coinciderà  con il sindaco del capoluogo, affiancato dal consiglio metropolitano, rappresentativo dei sindaci». 
C’è chi, come Luca Zaia, contesta l’attribuzione ai sindaci metropolitani, non eletti nei territori, dei poteri dei presidenti delle Province. Ad esempio lei, di centrosinistra, diventa il sindaco di territori dove il governatore è la leghista Francesca Zaccariotto.
«Dire questo vuol dire non aver capito l’impostazione della riforma. Non la si deve leggere con le tradizionali lenti della territorialità , ma vederla in relazione alle funzioni». 
Alcuni piccoli Comuni temono di finire dimenticati e assorbiti da quelli più grandi.
«Bisogna superare la visione ottocentesca per la quale tutti i Comuni sono uguali, quello da 200 abitanti e quello da 2 milioni». 
La riforma non salverà  dalla crisi i Comuni: alcuni non sembrano più in grado di pagare gli stipendi.
«La situazione finanziaria è critica. Vedremo come saranno spalmati gli ulteriori sacrifici. E se verranno posti a carico dei Comuni altri 500 milioni, come sembra. In quel caso sarebbe devastante e alcuni Comuni andranno fuori dal patto di stabilità ». 
Come reagire a questa situazione?
«A settembre decideremo su un tema che si è affrontato anche in Anci, cioè se uscire tutti in massa dal patto di stabilità  per dimostrare come la situazione a livello comunale sia insopportabile. Del resto, il comparto ha dato all’equilibrio del bilancio dello Stato oltre 20 miliardi: non altrettanto hanno fatto le amministrazioni centrali».


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(la Repubblica,GIOVEDÌ, 22 MARZO 2007, Pagina 25 – Commenti)

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