Monta il malcontento dei manager “Con Sergio non abbiamo un futuro”

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TORINO â€” «Per fare la fine che stiamo facendo, tanto valeva, iscriverci tutti alla Cgil». Nell’estate dello scontento, parla così non un operaio della Mirafiori ma un impiegato di rango degli uffici centrali della Fiat che, del suo passato filoaziendale, oggi difende oggi solo la discrezione dell’anonimato. Ma non gli va proprio giù questa storia dei colletti bianchi in cassa integrazione aggravata dall’incertezza sul futuro che, questa volta, non è quello di un posto qualsiasi della Fiat ma dello storico ponte di comando che, allargato al sapere della progettazione, lui definisce «il cuore e la mente dell’azienda». Quelli che quando c’erano gli scioperi duri dell’autunno caldo del 1969 sfidavano l’ira degli operai passando sotto le forche caudine di due file di manifestanti in una pioggia di insulti; quelli che nel 1980 garantirono il successo della marcia di quarantamila; quelli che in tempi più recenti votarano contro, mettendo in minoranza la Fiom che, diversamente, a Mirafiori avrebbe vinto il referendum su Pomigliano.
Adesso anche loro sono contro Sergio Marchionne, non lo vedono più come l’uomo del miracolo.
Non urlano, non manifestano, non diffondono volantini, ma covano un dissenso che va crescendo in questa stagione senza fine della crisi della Fiat nella più grande crisi dell’industria dell’auto. Un dissenso che è un rancore sordo di chi si sente tradito, privato improvvisamente della fiducia di cui ha goduto per anni. «Dov’è il miliardo di Mirafiori e che cosa sono i due modelli annunciati per i prossimi tre anni?» si chiede il nostro interlocutore. «Di sicuro per ora c’è l’annuncio della fine anticipata della produzione di Musa e Idea, il resto chi vivrà  vedrà  e i rinvii e i cambiamenti di rotta sono stati tanti, troppi perché si creda che ancora Mirafiori possa avere il futuro che pure c’era scritto, nero su bianco, in Fabbrica Italia».
Tra i manager il malcontento è più soft ma non per questo meno dirompente. Per la prima volta da quando Marchionne diventò ad di Fiat, esattamente sette anni un mese e ventisette giorni fa, non si sentono più parte della «squadra» tanto decantata, o almeno non avvertono di essere parte attiva. Dopo le continue rivoluzioni del team, accompagnate da «abbandoni sospetti» di uomini che erano arrivati a ruoli importanti, ora anche i collaboratori di fiducia hanno cominciato a sentirsi lontani dal «cerchio magico». Si racconta che Harald Wester, chef engineer di tutta la parte tecnica di Fiat, da sempre in stretto rapporto con i vertici per le sue capacità , si sia visto mettere da parte un progetto per una nuova Giulietta da Sergio Marchionne senza che sia stato degnato dell’attenzione che pure
meritava.
Sarà  che l’Alfa Romeo continua ad essere il gioiello in offerta sul banco delle vendite, ma la cosa non è piaciuta a quanti a Torino lavorano e oggi continuano a ricordare con disappunto che «la tecnologia italiana ha permesso a Marchionne di conquistare la Chrysler ». «Come si spiega che eravamo buoni allora, elogiati da Barack Obama, e adesso non lo siamo più?». E intanto di modelli nuovi non se ne vedono, tutto viene rinviato a «tempi migliori». Gli accordi vengono annunciati ma poi si sfilacciano in attese e qualcuno viene addirittura cancellato. Si racconta infatti che la lettera di intenti con la Mazda, per la produzione di una spider, a partire dal 2015 e nello stabilimento di Hiroshima del socio asiatico, non abbia fatto un passo avanti. Anzi, c’è chi sussurra che non se ne farà  nulla. Dopo la fine della «luna di miele » col sindacato e con le istituzioni, nel rogo della crisi ora Marchionne vede bruciare anche quella parte della «squadra» che non è ancora finita dall’altra parte dell’Atlantico. E mentre il sindaco di Torino, Piero Fassino, lo incalza per avere una risposta chiara e definitiva su Mirafiori, in molti gli rimproverano di continuare a privilegiare la finanza come dimostrano le operazioni degli ultimi giorni. «Ma un’azienda come la Fiat non può vivere di sola finanza» commenta uno che è stato a lungo in posizione di comando al Lingotto. «La finanza serve ma non si vende nelle concessionarie». Da quando è stata presentata la nuova 500 nel 2007, di veramente nuovo s’è vista soltanto la 500L che sarà  sui mercati solo in autunno. E poi tanta roba «americana», in piccoli numeri e che i mercati europei snobbano come si vede dalle vendite.
A Marchionne resta ancora la fiducia della famiglia Agnelli rappresentata da John Elkann, presidente di Fiat. Ma anche nelle sue file c’è chi pensa che «un investimento di Exor fuori dall’auto può rendere di più e meglio, anche se, per la verità , la holding di controllo fatica a mettere a segno il colpo buono in giro per il mondo. E nell’attesa non ci pensa minimamente a prendere il portafoglio per un rilancio che faccia tornare il sorriso e ripaghi della fedeltà  di ferro i colletti bianchi, i capi e i manager che stanno nel «ridotto» di Mirafiori. Come ha fatto qualche volta in passato.


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