Bersani lancia il «patto con i progressisti»

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ROMA — Forse, più delle parole contano le scelte scenografiche. Decidere, come ha fatto Bersani, di presentare la carta d’intenti con cui il Pd si candida a guidare il Paese nella prossima legislatura, avendo alle spalle uno sfondo rosso che più rosso non si può, non è stata una mossa casuale. Quel colore evocativo, che agli ex popolari non è piaciuto e che ha lasciato freddini anche alcuni ex Ds, equivale a dire «noi appoggiamo Monti, ma questo non è il nostro governo». 
E il segretario del Pd lo spiega chiaramente: «Sosteniamo Monti, anche caricandoci di responsabilità  non nostre e guardiamo alla conclusione naturale di questa legislatura. Noi del Pd siamo pronti a ogni evenienza naturalmente, però vogliamo dare il nostro passo, e terremo il nostro passo, mentre sosteniamo con le nostre idee questa fase di transizione, in quel che ci piace e in quel che non ci piace. E ci sono cose che non ci piacciono, a cominciare dalla vicenda degli esodati, alla quale va dato assolutamente rimedio».
Bersani sa bene che il tempo e la legge elettorale giocano contro di lui (per questo continua a sottolineare che, qualsiasi sia il sistema che verrà  scelto, «la sera delle elezioni si deve sapere chi ha il diritto di governare») ma fa mostra di dare per scontato che sarà  il Pd a vincere e che sarà  lui a varcare il portone di palazzo Chigi. Perciò sceglie le modalità  adottate da tutti gli altri leader del socialismo europeo che si sono candidati alla premiership e annuncia il primo pacchetto di leggi del governo che verrà  (se mai verrà ), mescolando insieme diritti civili e politica economica. «La prima norma che faremo è per i figli degli immigrati». Ossia la cittadinanza italiana per chi nasce nel nostro Paese. Poi: «Daremo sostanza normativa al principio riconosciuto dalla Corte costituzionale per il quale una coppia omosessuale ha diritto a vivere la propria unione ottenendone il riconoscimento giuridico». Infine: «C’è da alleggerire il peso fiscale sul lavoro e caricarlo sui grandi patrimoni mobiliari e immobiliari e rendite». Tradotto: il Pd ha intenzione di alleggerire l’Imu per la prima casa, che strozza i redditi medio-bassi, e di introdurre la patrimoniale per i redditi alti.
Ma Bersani sa anche che per essere credibile deve cancellare il ricordo dell’Unione. Quindi ci vogliono delle regole vincolanti che non consentano a nessuno di sottrarsi. In altre parole, spiega il segretario del Pd, i partiti della coalizione dovranno accettare «cessioni di sovranità » per far sì, ad esempio, che sulle questioni controverse i gruppi parlamentari possano decidere a «maggioranza». Non solo, dovranno «affidare a chi avrà  l’onere e l’onore di guidare la maggioranza la responsabilità  di una composizione del governo snella, sottratta alle logiche di spartizione e ispirata a criteri di competenza, rinnovamento e credibilità  internazionale». Di più: le forze politiche dell’alleanza dovranno «assicurare il pieno sostegno, fino alla loro eventuale rinegoziazione, degli impegni internazionali già  assunti dal nostro Paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro». Insomma, la riforma della Costituzione è ancora lontana, ma il segretario del Pd vuole portarsi avanti con questa sorta di regolamento interno che, a suo giudizio, rafforza la stabilità  e la governabilità .
Ed è sulla base di questa «carta» che Bersani inaugura il suo giro di incontri con i potenziali alleati. Oggi vedrà  Vendola, domani sarà  la volta dei rappresentanti del terzo settore. Con Casini (anche se i due si vedranno in questi giorni) l’appuntamento politico è fissato per dopo le elezioni, ma sin da ora Bersani annuncia che è sua intenzione «promuovere un patto di legislatura con le forze liberali, moderate e di centro». Dunque, se anche il Pd dovesse avere la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento il segretario ha deciso che andrà  alla prova di governo con i centristi dell’Udc.


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