Il patto d’acciaio tra il patron Riva e la chiesa cattolica tarantina

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Il rapporto tra l’Ilva e la chiesa cattolica rappresenta una delle pagine più grigie fra quelle all’attenzione dei magistrati di Taranto. Certo, nessun reato penale o civile è emerso per ora a carico di un prelato. È pur vero, però, che non può essere questo motivo di sollievo per una curia che giorno dopo giorno veste sempre più i panni di chi, come tanti altri, si è prostrato ai piedi dei padroni dell’acciaio. 
Le parole di questi giorni di Francesco Cinieri, dal 1986 cassiere dell’Ilva, con le quali si fa esplicito riferimento ad alcune donazioni periodiche elargite alla chiesa negli anni 2010 e 2011, non rendono da sole il senso e il ruolo della massima istituzione cattolica sul territorio in tutta la vicenda Ilva. Se le donazioni fossero state finalizzate esclusivamente a opere benefiche e non avessero avuto in cambio una clemenza pubblica tutt’altro che cristiana, infatti, probabilmente nessuno si sarebbe scandalizzato più di tanto. Così però non è stato e i silenzi della chiesa nel passato riguardo il disastro ambientale della città  sono stati assordanti. Neanche il passaggio di consegne fra mons. Benigno Luigi Papa (rimasto in carica 21 anni) e mons. Filippo Santoro, lo scorso novembre, ha segnato un cambio profondo e netto nell’atteggiamento verso le grandi imprese inquinanti. Al suo arrivo le aspettative dei fedeli erano altissime visto che nel 1992 è stato membro della delegazione della Santa Sede per la Conferenza Mondiale sull’Ambiente (Eco-92). Aspettative deluse: il diritto alla salute è un concetto che non trova spazio nelle dichiarazioni di questi giorni da parte del numero uno della chiesa cattolica tarantina. In un abile cerchiobottismo, Santoro si districa continuamente in un percorso a ostacoli anche quando, promovendo una fiaccolata sul problema Taranto, avrebbe potuto affermarlo senza indugi e segnare il cambio di rotta. 
La scelta della continuità  del suo vescovado sui punti cardine della vicenda ambientale fu chiara quasi subito. Pur dichiarando la volontà  di svolgere un ruolo chiave, non ebbe il coraggio di annunciare la rinuncia alle regalie dell’Ilva che puntualmente e negli anni hanno minato la credibilità  della chiesa a Taranto. Una delle prime occasioni per affermarlo senza indugi, e conquistarsi davvero un ruolo terzo, lo ebbe poche settimane dopo la nomina vescovile. Durante un incontro con i direttori di giornali e tv, gli fu chiesto se fosse stato disponibile ad affermare pubblicamente l’interruzione di ogni donazione. Non rispose. «Sono stato a messa con i famigliari delle vittime dell’inquinamento e del lavoro, presto incontrerò gli operai. Voglio favorire il dialogo affinché lavoro e salute siano compatibili», affermò senza fare alcun riferimento alla domanda posta. Pochi mesi dopo, in occasione della festività  patronale di San Cataldo, il patrocinio dell’Ilva era nuovamente lì su locandine e brochure dell’evento. Ma il rapporto chiesa-Ilva ha radici ben più antiche. Una amicizia che la curia ripagava con dichiarazioni di riconoscenza e il controllo sociale delle migliaia di famiglie che vivono al quartiere Tamburi e del pane del siderurgico. 
Sconvolgenti furono le prese di posizione di mons. Papa verso chi poneva le basi di una lotta in chiave ambientalista e, quasi contemporaneamente, lo fu anche l’elevazione a pubbliche onorificenze di chi rappresentava il potere del siderurgico. Non è passato tanto tempo, infatti, da quando la curia ionica ha consegnato nelle mani di Girolamo Archinà , fino a poche settimane fa responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva e oggi fulcro intorno al quale ruota l’inchiesta «Ambiente venduto», il Cataldus d’Argento per il volontariato. Si tratta dell’onorificenza più importante che la curia cittadina riconosce a chi si è reso protagonista in positivo durante l’anno precedente. Accadde nel 2011 il giorno successivo alla festa patronale dell’8 maggio dedicata a San Cataldo, di cui l’Ilva è sponsor costante dell’evento e dei costosi festeggiamenti. Forte fu il disappunto di tanti cittadini, meno per quelli che vivono nel martoriato quartiere Tamburi ai piedi delle ciminiere. 
Proprio dai Tamburi si levò un grido di rabbia quando mons. Papa prese carta e penna e scrisse ai parrocchiani dopo l’ultima ingente donazione di patron Riva. 365 mila euro, ben più dei 5mila che a detta di Cinieri rappresentava il limite massimo di quasi tutte le donazioni (appunto, quasi). Servirono a rendere accogliente la chiesa Gesù Divin Lavoratore. Al cospetto i 2.500 euro dati alla parrocchia dei Santissimi Angeli Custodi il 19 ottobre 2010, tra le regalie che emergono dai documenti a disposizione della procura, sono meno che briciole. E fin qui, ancora una volta, nulla di male se non si guarda oltre leggendo il maquillage che la chiesa tentò di donare al re dell’acciaio agli occhi dei cittadini del quartiere. Per farlo il vescovo volle essere ancora più esplicito scrivendo alle famiglie che ogni giorno respirano l’inferno: «Vogliamo ringraziare Dio per questo dono della Sua Provvidenza, che ci giunge nell’occasione della vostra festa. Il presidente Riva mi ha espresso le motivazioni che hanno indotto il suo gruppo a tale atto di generosa attenzione….». Parole che furono lette dal pulpito durante la messa. Riva vuole così, scrive ancora Papa, «esprimere l’attenzione costante che il suo gruppo riserva a questo quartiere». I cittadini risposero con un po’ di vernice sulla lamiera del cantiere messo su rapidamente grazie ai soldi dei Riva: «Il paradiso non si compra». 
Quasi contemporaneamente la curia si mostrava severa e intransigente nei confronti delle associazioni civiche. Quando nel 2009 riuscirono a unirsi e a organizzare con le scuole una manifestazione per accendere i riflettori sul disastro ambientale tarantino, pensarono, erroneamente, di poter avere il sostegno in prima fila della chiesa. Si sbagliarono. Quel giorno non solo il vescovo e le associazioni cattoliche non aderirono all’iniziativa (anche se molti componenti di esse scesero comunque in piazza a titolo personale) ma fu lanciato un pesante monito dall’alto prelato. All’invito dagli organizzatori ad aderire alla marcia pacifica Papa rispose così: «Quello che non dovrebbe accadere è cavalcare la giusta tematica della salvaguardia dell’ambiente per motivazioni strumentali, cioè non tanto perché stia veramente a cuore questo problema, ma perché dalla protesta si possa ricavare un qualche utile personale o di gruppo. Qualora dovesse accadere questo, dovrei pensare che ci sia un inquinamento spirituale che è peggiore dell’inquinamento ambientale».


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