Ilva, le uova contro i sindacati

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TARANTO — L’Ilva ormai rappresenta «un’emergenza nazionale», dichiara alla fine di un’altra giornata lunghissima il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini. La tensione in città  è sempre più alta, ieri gli operai si sono divisi tristemente in piazza, i sindacati sono stati contestati da un gruppo di almeno 200 dissidenti, tra lanci di uova e fumogeni. Il governo già  questa mattina adotterà  «un provvedimento d’urgenza», potrebbe avere la forma del decreto legge oppure dell’ordinanza di Protezione civile. Quello che è certo è che bisogna far presto, le bonifiche non aspettano e così pure la salute dei cittadini, minacciata dalle polveri dell’acciaieria sotto sequestro dal 26 luglio. 
Il ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, ha annunciato che sempre oggi il Cipe sbloccherà  21 miliardi di euro, tra cui i fondi da assegnare alla Regione Puglia per occuparsi di Taranto, «dopo di che — ha proseguito il ministro Barca — toccherà  anche all’Ilva metterci la sua parte». E il presidente del gruppo siderurgico, Bruno Ferrante, a poche ore dall’udienza decisiva del tribunale del Riesame sugli arresti e i sequestri degli impianti, mostra la mano tesa: «Non più conflittualità  da parte nostra. Lunedì prossimo si aprirà  il tavolo con il governo e la Regione, ma intanto vogliamo dare già  un segnale, perciò rinunceremo al ricorso contro la riapertura del procedimento per l’autorizzazione integrata ambientale richiesta dal governo». Gesti di distensione, si fa per dire, con tanti interessi in gioco e 20 mila posti di lavoro in bilico pauroso. 
Ieri, però, in piazza della Vittoria, nome che adesso suona beffardo, è successo un fatto davvero nuovo. I veleni di Taranto hanno finito per inquinare anche la lotta per la salute e il lavoro. Nel giorno dello sciopero proclamato dai sindacati Cgil, Cisl e Uil (secondo l’Ilva ha aderito l’85 per cento degli operai e in piazza ce n’erano almeno 5 mila) il comizio finale è stato interrotto a metà  da un gruppo di dissidenti, almeno 200 persone, tra cui anche Cobas, centri sociali e ultrà  tarantini, che al grido di «Servi di Riva», «Venduti» e «Bugiardi» a bordo di un Apecar si sono fatti avanti prendendo di sorpresa quelli del servizio d’ordine e pure i numerosi agenti di polizia e carabinieri in assetto antisommossa. Niente cariche e nessun ferito alla fine, ma i segretari nazionali di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, hanno abbandonato il palco in tutta fretta e sono andati via scortati, mentre su di loro volavano i fischi. Maurizio Landini della Fiom e Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, hanno invece scelto di restare fino alla fine: «Questa non è una gara a chi urla di più — ha detto poi la Camusso — è una difficilissima vertenza sindacale che ha bisogno di unità  del lavoro, dei sindacati e dei lavoratori». Appunto, proprio ciò che ieri a Taranto è sembrato svanire di colpo. I dissidenti, tra cui pure diverse studentesse e semplici cittadini, erano capeggiati da tre giovani lavoratori Ilva, Cataldo Ranieri, 42 anni, ex Fiom, Stefano Sibilla, 36, e Massimo Battista, 39, che a bordo del camioncino a tre ruote hanno spiegato il senso della loro protesta: «Abbiamo fondato il Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti — hanno detto — perché dei sindacati non ci fidiamo più, sono complici dell’azienda, giovedì scorso i nostri capireparto ci hanno fatto bloccare tutta la città  raccontandoci che gli impianti erano stati chiusi dalla magistratura. E invece poi abbiamo scoperto che era una bugia, gli impianti malgrado il sequestro erano marcianti e noi siamo stati usati, manipolati, così è scoppiata la nostra coscienza e ora siamo qui. Avevamo mandato un fax alla vigilia per chiedere di poter intervenire sul palco dei sindacati, ma nessuno ci ha risposto. Allora il microfono ce lo siamo portati da casa…».


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