La «terza via» tunisina

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Lo scontro tra i tunisini, sempre più delusi dal dopo rivoluzione, e gli esponenti del partito islamista al potere Ennahda si diffonde nel paese da Sidi Bouzid, che aveva dato i natali alla rivoluzione, fino a Henche nel nord. E quando non è Ennahda, a fare il gioco sporco sono i salafiti – considerati il braccio armato del partito islamista – che vogliono imporre con la forza la legge coranica. L’ultimo scontro con i giovani di Sidi Bouzid è stato provocato dall’uso dell’alcool. 
Il clima si fa sempre più rovente e sta provocando spaccature anche nella troika al governo, che comprende oltre agli islamisti di Ennahda anche due partiti laici: il Congresso per la repubblica (Cpr) e Ettakatol. I più penalizzati dalla politica governativa sono i partiti laici. Infatti 7 dissidenti di Ettakatol, 2 del Cpr, 10 del Partito democratico progressista (Pdp) e diversi deputati indipendenti sarebbero decisi a formare un nuovo gruppo parlamentare, che potrebbe diventare uno degli schieramenti più importanti nell’Assemblea nazionale costituente. La rivelazione sul nascente partito della «terza via» è stato fatto da Tunisie numerique. Le trattative per la formazione di questo nuovo partito, che si definisce socialdemocratico, sono in corso da settimane con l’obiettivo di difendere le rivendicazioni e i principi della rivoluzione abbandonate dai loro partiti di provenienza. Si sta lavorando anche per la formazione di una coalizione di partiti della sinistra per rafforzare l’opposizione a Ennahda. 
Se questa evoluzione politica andrà  a buon fine si rivelerà  determinante quando dovrà  essere approvata la nuova costituzione, che già  alimenta il dibattito politico e provoca molte proteste della popolazione.
Le più combattive sono state come sempre le donne, soprattutto dopo che la Commissione per i diritti e le libertà  della Costituente ha pubblicato la bozza di un articolo (il 28) in cui i loro diritti vengono riconosciuti solo come «complementari» del maschio. Un arretramento netto rispetto allo statuto personale in vigore dal 1956, che, almeno sulla carta, riconosceva l’uguaglianza dei sessi con l’unica esclusione dell’eredità . E la pari eredità  era infatti uno degli obiettivi della rivoluzione. 
Dopo le rivelazioni sul progetto di costituzione sono scesi in piazza anche i giornalisti. Senza nessun confronto con loro e con il sindacato, la Commissione della costituente ha infatti deciso la creazione di un comitato eletto dal parlamento che dovrebbe avere la supervisione sui media. A rendere ancora più acceso lo scontro tra governo e il settore dei media è stata la nomina di Lofti Touati, proveniente dai ranghi del vecchio regime, a dirigere Dar Essabah, il network che comprende i due giornali pubblici, Assabah e Le Temps, e la Tv pubblica. Mercoledì scorso i giornalisti hanno manifestato davanti alla Kasbah, il palazzo del governo. Contestano le nomine fatte senza sentire i lavoratori del settore e il loro sindacato. 
Con le nomine e il controllo del comitato, se passerà  questo articolo della costituzione, non si potrà  parlare di libertà  di stampa. Se poi si aggiunge la proposta di articolo 3 della costituzione, che condanna gli attacchi al «sacro», ovvero alla religione, l’accusa di blasfemia potrà  dilagare. 
Questi sono gli articoli più contestati insieme a quello che riguarda il presidente della repubblica, eletto dal parlamento o direttamente dal popolo. Non si tratta evidentemente solo dell’elezione del presidente, ma di quale sistema istituzionale si vuole costruire: una repubblica parlamentare o presidenziale. Gli schieramenti attuali dipendono più dai rapporti di forza all’interno della costituente che da una scelta argomentata. 
La Costituzione dovrebbe essere presentata il 23 ottobre per permettere le elezioni legislative il 20 marzo, ma c’è chi sostiene che non sarà  pronta prima di febbraio. E c’è da sperarlo, perché questo vorrà  dire che, nonostante i rapporti di forza, il dibattito per l’approvazione del nuovo testo avrà  avuto quell’approfondimento necessario per evitare che la rivoluzione tunisina venga affossata definitivamente e che le forze oscurantiste possano porre le premesse per una repubblica islamica. 
Quei timori che all’inizio i tunisini (e anche le tunisine) avevano sottovalutato di fronte alla vittoria degli islamisti ora si fanno più reali e pericolosi. Anche perché tutto il dibattito sull’ideologia ha permesso a Ennahda di nascondere il suo fallimento nell’affrontare i problemi materiali reali del paese.


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