Procura di Palermo-Quirinale duello sui nastri da distruggere e sull’iter che portò al conflitto

Loading

PALERMO — Non c’è più solo una questione giuridica, il conflitto di poteri davanti alla Consulta, a dividere la Presidenza della Repubblica e la Procura di Palermo. Su quanto accaduto nelle ultime settimane, a proposito delle intercettazioni del capo dello Stato finite nell’indagine sulla trattativa Stato-mafia, si affacciano adesso due ricostruzioni diverse. Il procuratore capo di Palermo sostiene che prima del conflitto di poteri «non vi è stato mai nessun tentativo di mediazione da parte di alcuno»: il riferimento è all’Avvocatura generale dello Stato. Ieri mattina, Francesco Messineo ha diffuso un comunicato per definire «infondata» l’immagine riportata in alcuni articoli «di una parte che cerca di mediare per evitare un conflitto, mentre l’altra — la Procura — oppone un pregiudiziale netto rifiuto». In serata, da ambienti del Quirinale è stato ribadito che «i termini effettivi dei rapporti intercorsi tra l’avvocatura generale dello Stato e la Procura della Repubblica di Palermo sono quelli indicati nel decreto del Presidente della Repubblica del 16 luglio 2012». È il decreto che ha sollevato il conflitto di poteri. Nel suo comunicato, Messineo sostiene che «nella realtà  l’Avvocatura dello Stato ha inviato una sola lettera chiedendo soltanto conferma o smentita delle dichiarazioni rilasciate dal dottore Di Matteo nell’intervista a Repubblica del 22 giugno». Messineo prosegue dicendo che quella volta «venne data risposta, confermando che le dichiarazioni erano state rese; fu anche allegata una nota del dottore Di Matteo, che ne chiariva il contenuto e la portata». Ma dopo quella lettera, «non è seguita alcuna comunicazione o interlocuzione — dice Messineo — e si è successivamente appreso che era stato proposto il ricorso». Il decreto del Presidente, richiamato dal Colle, fa riferimento non solo alla lettera dell’Avvocatura generale e alla risposta di Messineo, ma anche a un’ulteriore lettera del procuratore di Palermo, inviata a Repubblica. In questa successione di lettere, fra il 6 e il 9 luglio, il Quirinale ha colto un cambiamento di rotta all’interno della Procura di Palermo. Nella prima risposta di Messineo si faceva cenno «esclusivamente alla distruzione (delle intercettazioni ndr) da effettuare con l’osservanza delle formalità  di legge», così viene ricordato nel decreto di Napolitano. Nella seconda lettera di Messineo si fa riferimento alla distruzione delle intercettazioni «previa valutazione della irrilevanza » e con «l’autorizzazione del gip». Ma ieri mattina Messineo ribadiva: «Sul punto non vi è stato alcun mutamento di opinione, anche se esiste la massima disponibilità  ad esaminare soluzioni giuridicamente valide». E ancora: «Sul regime giuridico da applicare alla distruzione delle intercettazioni non vi è mai stato con i colleghi Sava, Del Bene, Di Matteo e Ingroia nessun contrasto e nessuna differenza di vedute». Come dire, alla Procura di Palermo non ci sono falchi e colombe sul caso Quirinale. La tesi sostenuta è una sola, e sin dall’inizio: le intercettazioni fra il presidente Napolitano e uno degli indagati dell’inchiesta “trattativa”, Nicola Mancino, non possono essere distrutte «senza contraddittorio davanti al giudice ». Il procuratore capo torna a richiamare «lo stato dell’attuale normativa»: i pm ritengono che la legge non preveda nulla di particolare nel caso in cui la voce del capo dello Stato finisca casualmente nelle conversazioni intercettate di un indagato. «Siamo pienamente convinti — si conclude così il comunicato di Messineo — che è nostro dovere, come magistrati, applicare la legge esistente, spettando ad altre istituzioni la produzione di norme nuove, che comunque, se introdotte, applicheremo fedelmente». In ballo c’è anche la riforma di tutto il sistema intercettazioni. Ieri, l’ha invocata anche Antonio Ingroia: «Ma non è certo quella che sta in parlamento», ha dichiarato ad Affaritaliani.it. «Ciò che serve è una maggiore tutela delle conversazioni non rilevanti, in modo che non finiscano sui giornali».


Related Articles

Prodi scende in campo per Bersani

Loading

A sorpresa a Milano. «Votate uniti, questa squadra ha imparato la lezione»

Napolitano accoglie il Pontefice: in Italia il clima è avvelenato

Loading

 Il presidente accusa le «esasperazioni di parte» della politica Da Bergoglio appello sulla famiglia «luogo primario di valori»

Rizzo: “Non abbiamo salvato Renzi, abbiamo evitato 5 anni di destra a Milano”

Loading

Palazzo Marino. Per l’ex presidente del Consiglio comunale (lista Milano in Comune) il Pd non può cantare vittoria per l’elezione di Beppe Sala: “Senza i nostri voti non avrebbero vinto, quindi non è passata l’idea di autosufficienza del partito del presidente del Consiglio”

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment