Alcoa in alto mare, Glencore rinuncia

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ROMA — Glencore volta le spalle all’Italia e alla Sardegna e chiude la trattativa sullo stabilimento Alcoa di Portovesme. La società  svizzera, dopo un lungo tira e molla, ha comunicato l’addio con una lettera nella tarda serata di venerdì al ministero dello Sviluppo economico. Alla base della retromarcia il mancato accordo su uno sconto da applicare al prezzo dell’energia giudicato dagli svizzeri come «fuori mercato », ma dal governo in linea con la media europea. I dieci anni di “ribassi” a quota 25 euro per Megawattora rappresentano una richiesta irricevibile, viste le rigide norme dell’Ue che potrebbero considerare il taglio alla stregua di aiuti di Stato. Lo scoglio insormontabile ha fatto naufragare i colloqui.
Ma le speranze non muoiono con la retromarcia della Glencore. Il governo, e in particolare il ministro dello Sviluppo Corrado Passera e il sottosegretario Claudio De Vincenti, hanno tre nuove carte tra le mani. Forse non sono ancora degli “assi”, ma a sentire le voci che si rincorrono nei corridoi del ministero nemmeno delle “scartine”. Uno dei tre potenziali compratori dovrebbe essere la svizzera Klesh che si è già  affacciata nella trattativa a giugno puntando ad acquisire il sito (non senza però contestare, anch’essa, i costi elevati dell’energia elettrica). Il nodo energia, dunque. Il piatto con Glencore è saltato a causa delle richieste eccessive della multinazionale, che voleva un taglio dei costi elettrici dai 33-35 euro per MWh offerti in Italia (accettando però le clausole di interrompibilità  dell’energia), fino ai 25 euro. Ma l’idea di produrre nello stabilimento sardo a un tetto ragionevole (33 euro), grazie alla clausola, potrebbe allettare Klesh che chiede di restare sotto la soglia dei 30.
La seconda realtà  in gioco dovrebbe essere un gruppo imprenditoriale che ha le proprie radici nella lontana Australia, mentre la terza lettera di interesse per il sito dell’Alcoa sembra arrivare da non molto lontano. Si parla del fondo di investimento tedesco Bavaria Industriekapital. Restano intanto alla finestra un gruppo cinese e la Kitegen Research, aziende pronte ad entrare in campo all’ultimo momento.
Secondo l’ad della Portovesme srl Carlo Lolliri, controllata da Glencore, la situazione non è del tutto compromessa e la stessa Glencore potrebbe tornare sui
suoi passi, soprattutto se i suoi concorrenti dovessero farsi avanti in maniera decisa: «La Glencore resta a disposizione per un confronto». Intanto la rinuncia del gruppo non demoralizza il ministro Passera: «Le trattative per Alcoa non sono fallite. Una delle aziende si è detta interessata solo con costi dell’energia che non sono né quelli di mercato né quelli autorizzati dalla Ue. Ci sono fortunatamente altri, continueremo a cercarli». Ma tra i lavoratori del sito è palpabile la delusione e l’ennesimo buco nell’acqua rischia di far salire ulteriormente la tensione. Di Pietro (Idv) incalza: «L’esecutivo non ha creato, insieme all’Enel, le condizioni per garantire un prezzo dell’energia che fosse compatibile con quello dei concorrenti europei». Cesare Damiano del Pd avverte che «il governo deve produrre uno sforzo straordinario per impedire che lo spegnimento progressivo delle celle prefiguri l’irreversibile chiusura dello stabilimento». Fassina (sempre del Pd) confida nell’immediata convocazione dei sindacati. Mentre il deputato del Pdl Mauro Pili chiede che il governo «riferisca in aula». Diliberto (Pdci): «Siano coinvolti gli enti locali».


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Caro direttore,
temo che i meri appelli alla crescita sottovalutino i rischi per l’economia e la democrazia impliciti nel debito pubblico italiano. Da tutti i punti di vista.
Sul piano patrimoniale, il governo Berlusconi ha fatto credere che la ricchezza finanziaria e immobiliare del settore privato costituisse una garanzia di fronte ai creditori del settore pubblico.

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