Atomo addio? Fosse vero …

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Considerato che il Giappone nel dopoguerra ha fatto dell’energia atomica l’elemento chiave della sua politica energetica, tanto che fino a poco più di un anno fa aveva 53 reattori in funzione (che producevano circa un terzo dell’energia elettrica consumata nel paese), il segnale non è da sottovalutare: anche solo parlare di «uscita dal nucleare» sarebbe stato impensabile prima della catastrofe di Fukushima, l’evento che ha segnato una brusca presa di coscienza per il Giappone.
E però, molti militanti del movimento anti-nucleare giapponese temono che un eccessivo ottimismo sia fuori luogo, che l’annuncio di Noda sia più vetrina che sostanza. A cominciare dalla data: il premier promette «zero reattori» entro gli anni ’30 – cioè non il 2030 ma la fine di quel decennio, un arco di tempo davvero lungo (ventotto anni)… In fondo era stato più coraggioso il suo predecessore Naoto Kan, il premier in carica quando sul Giappone si è abbattuto lo tsunami che ha provocato la catastrofe a Fukushima, che aveva preconizzato l’uscita dal nucleare entro il 2030. Questa del resto era la data proposta al dibattito pubblico poche settimane fa, quando una consultazione popolare aveva mostrato che l’80% dei giapponesi è favorevole ad abbandonare questa fonte di energia,e anche prima del 2030. Insomma, Noda avrebbe addirittura preso più tempo. Ma non è solo questo. «Per troppo tempo i dirigenti giapponesi hanno ignorato l’opinione dei cittadini e rischiato la loro salute, sicurezza e stabilità  economica sull’energia nucleare», commenta Kazue Suzuki, responsabile della campagna antinucleare di Greenpeace Japan. E aggiunge: «Questo annuncio deve diventare legge, o altrimenti non sarà  altro che belle parole per acchiappare voti nelle elezioni imminenti». L’attivista di Greenpeace non è la sola a esprimere scetticismo: è stato proprio il premier Noda a dare il via libera alla riapertura di due reattori nucleari, a fine giugno, sfidando opposizioni pubbliche e malumori fin dentro il suo partito democratico, e allora affermava che il paese non poteva fare a meno di quell’energia – benché venisse da ben due mesi di totale moratoria nucleare di fatto, perché tutti i reattori del paese erano chiusi per verifiche di sicurezza, senza che i giapponesi abbiano dovuto soffrire di black-out o penuria energetica. Ma ora le elezioni incombono, ed è lecito sospettare che promettere «zero reattori» sia un modo per riconquistare gli elettori.
Lo scetticismo degli attivisti nucleari giapponese è comprensibile: per il momento l’uscita dal nucleare non è più che una dichiarazione di intenti da parte di un governo che ha i giorni contati. Il solo atto formale che resterà  a segnare il percorso ai governi successivi è l’imminente nomina alla testa del nuovo organo di controllo nucleare, il cui presidente resterà  in carica 5 anni: e sta suscitando polemiche il nome proposto dal governo, giudicato un nuclearista convinto. Perfino l’annunciato stop a nuove centrali è relativo: sembra che proseguirà  la costruzione di almeno due reattori già  in cantiere, nelle località  Ooma in Aomori e Shimane. Continuerà  la progressiva riattivazione di quelli esistenti e considerati agibili. Certo, saranno decommissionati quelli con più di 40 anni di servizio. Ma l’industria nucleare resta una lobby potente, e i giochi non sono fatti. Il movimento antinucleare non disarma.


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