Capodanno in Patagonia così Daccò iniziò a pagare le vacanze di Formigoni

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MILANO — Il racconto delle vacanze offerte da Piero Daccò a Roberto Formigoni, secondo la procura, parte da un albergo con vista sul Canale di Beagle, lo stretto che taglia in due l’estremo Sud del pianeta abitato. Siamo in Argentina, Terra del Fuoco, ed è il 3 gennaio del 2007. La carta di credito del faccendiere intimo del presidente della Regione Lombardia striscia 60mila pesos, l’equivalente di 15.129,88 euro. Beneficiaria è la Tolkeyen Patagonia Turismo, l’agenzia che organizza il viaggio della comitiva. Altri duemila euro servono per pagare un hotel a Ushuaia, il capoluogo della Terra del fuoco, mentre è di 1.702 euro, il 6 gennaio, il conto dell’hotel “El Rosario”. Da qui, da alcune delle tracce telematiche dei soggiorni di Daccò nei luoghi raccontati da Bruce Chatwin, i magistrati sono partiti per ricostruire il primo “regalo” al governatore lombardo da parte del faccendiere della sanità , l’ultimo fra quelli che gli vengono contestati. Le conferme sarebbero arrivate da un collaboratore di Daccò: si sarebbe occupato delle prenotazioni per il gruppo, che subito dopo la Patagonia si sarebbe spostato a Rio de Janeiro, in Brasile. Non si sa fino a quando il presidente sia stato della partita: a un certo punto avrebbe interrotto il viaggio raggiungendo l’Italia per impegni personali. Finora, di questo viaggio — che si aggiunge agli altri cinque finora conosciuti — si era parlato solo nelle ricostruzioni giornalistiche. Ora, invece, il Capodanno nell’estremo Sud del continente americano è diventato uno dei capitoli dell’invito a comparire inviato al governatore, accusato di corruzione aggravata.
LE 1780 TELEFONATE
Tra le contestazioni c’è anche la villa acquistata in Sardegna da Alberto Perego, il Memor Domini convivente di Formigoni che gli presta 1,1 milioni di euro proprio per portare a termine l’operazione. Negli atti depositati dell’inchiesta, vengono ricostruiti i dettagli dell’affare, che nell’ottica dei pm Greco, Orsi, Pastore, Pedio e Ruta sarebbe una delle tante “altre utilità ” nei confronti del presidente della Regione Lombardia, da ricompensare per i finanziamenti sbloccati a favore della fondazione Maugeri e dell’ospedale San Raffaele. Il “regalo” a Formigoni consisterebbe, per la procura, nel prezzo ridotto con la quale viene venduta la villa: 3 milioni per una villa da 13 vani in contrada “Li Liccioli”, ad Arzachena, anziché 4,3 milioni, la valutazione di mercato. Formalmente, la compravendita passa dalla Limes Srl, società  intestata a Erika Daccò, figlia del faccendiere. Ma le indagini hanno stabilito che in realtà  era proprio Daccò padre a gestire tutto. E per dimostrarlo, i pm portano, tra le varie prove, l’intensissimo traffico telefonico tra Daccò e Perego che subisce un’accelerazione proprio tra l’estate e l’autunno del 2011, quando si perfeziona l’acquisto. «Sul conto di Perego Alberto — è scritto in un’informativa depositata agli atti — si deve osservare che sul cellulare austriaco utilizzato da Daccò vi è un corposo traffico telefonico: 674 telefonate da Perego a Daccò e 1106 da Daccò a Perego ». Numerose — più di 700 — anche le chiamate di Perego ad altri collaboratori di Daccò coinvolti nell’operazione. Un particolare che per i pm è indicativo dell’assiduità  che legava l’ex “contabile del Movimento popolare” (ricordo di Antonio Simone), condannato a quattro mesi per falsa testimonianza nel processo Oil for food, al cerimoniere delle vacanze del Celeste.
I RICORSI
Tutto questo — quel che emerge dalle indagini e che Repubblica sta riportando nelle sue cronache — per Formigoni è solo «immondizia ». Le quindici delibere favorevoli alla fondazione Maugeri che i pm ritengono la contropartita delle utilità  ricevute? «Sono delibere di sistema — ha spiegato il governatore a Radio 24—
che riguardano tutti gli ospedali pubblici e privati della Regione… Se ci fosse stato un errore di calcolo, un privilegio, ci sarebbe stata una valanga di ricorsi». Contrariamente a quello che sostiene il governatore, il contenzioso c’è, eccome. A promuoverlo sono stati, in questi anni, realtà  come il Policlinico di Monza e l’Aiop, l’associazione delle cliniche private. E vertono proprio sulla «irrazionalità » dei criteri con i quali sono assegnati i fondi per le cosiddette “funzioni non tariffabili”, i canali di finanziamento che si aggiungono ai rimborsi ordinari. In alcuni casi i contenziosi sono stati vinti dalla Regione con sentenze che riconoscono però quella “discrezionalità ” nell’assegnazione dei fondi che Formigoni nelle ultime dichiarazioni nega. Per altri ricorsi, invece, il contenzioso è ancora pendente al Consiglio di Stato.
LA DIFESA DI DACCò
«Il mio assistito non si nasconderà , risponderà  a tutto quando ci sarà  un processo pubblico», assicura Gian Piero Biancolella, difensore di Daccò. Sulle nuove rivelazioni di Passerino, Maugeri e Mozzali che confermano l’esistenza di un “sistema Daccò”, l’avvocato non vuole esprimersi: «Ho letto solo anticipazioni di stampa». Quanto all’accusa di corruzione, «Daccò continua a sostenere di non aver dato denaro a nessuno. Se poi aver ospitato un amico costituisce un’altra utilità  tale da giustificare l’accusa di corruzione, lo vedremo. Per me non lo è».


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