Così la crisi della moneta mette a rischio la sicurezza

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Un’Europa rimpicciolita e indebolita dal punto di vista strategico; e costretta a rattrappirsi sul piano geopolitico. Uno dei contraccolpi meno studiati di questa fase è l’«austerità » delle ambizioni internazionali che il Vecchio Continente si sta silenziosamente imponendo. All’origine della ritirata non è solo la crisi economica: l’assenza di una politica estera comune, le rivalità  e i contrasti si sono manifestati da tempo, dalla guerra in Iraq fino alle operazioni militari per abbattere il regime libico. Ma le tensioni finanziarie e l’offensiva contro le nazioni della moneta unica hanno accelerato e radicalizzato questa tendenza. Mostrano gli Stati europei, ma anche gli Usa nella veste di «cicale strategiche» ridimensionate dal primo decennio del Duemila; e attente a ridurre spese militari, missioni internazionali, priorità . La prevalenza delle questioni economiche e la rapidità  con la quale le istituzioni europee le affrontano rendono ancora più vistoso l’arretramento del primato della geopolitica. Se esiste uno spread strategico, un prezzo che l’Europa sta pagando per la diminuzione del suo peso in termini di sicurezza, sta passando in secondo piano.
Non viene registrato dalle agenzie di rating: semmai viene discusso fra i consiglieri per la sicurezza nazionale e alla Nato. E suscita qualche apprensione per le conseguenze di un’eventuale uscita dalla moneta unica soprattutto della Grecia. Eppure è destinato a rimanere come un rumore di fondo che può crescere e imporsi solo se si ripresentano focolai di crisi. Finora si è parlato molto degli scenari evocati dagli uffici studi delle banche e delle istituzioni finanziarie sui costi di un collasso economico della zona euro. Nessuno è arrivato a conclusioni certe, tranne quella che sarebbe comunque un disastro. Ma in parallelo, da mesi gli analisti che studiano l’instabilità  dal punto di vista strategico cominciano a valutare i contraccolpi sulla sicurezza europea in termini di «impoverimento geopolitico» e di vulnerabilità . E una caduta della Grecia, la piccola Grecia da mesi sull’orlo del fallimento, viene considerata più pericolosa di quella di un Portogallo e di un’Irlanda, nazioni saldamente incapsulate nella geografia occidentale. La catastrofe economica sarebbe accompagnata e aggravata da una destabilizzazione regionale.
La bancarotta del governo di Atene avverrebbe infatti in un contesto di inimicizia nei confronti della Germania, la più tenace nel centellinare gli aiuti. E questo avrebbe una serie di effetti collaterali in tutta l’area compresa fra l’Egeo e i Balcani. «Si chiuderebbero le prospettive a breve e medio termine di un ingresso di Serbia e Montenegro nell’Ue», ha scritto sulla rivista Survival Francois Heisburg, presidente dell’IISS, l’International Institute for Strategic Studies di Londra, e della Fondazione per la ricerca strategica di Ginevra. Il contraccolpo sarebbe quello di bloccare l’evoluzione dei governi balcanici verso una politica europeista; e di esacerbare l’instabilità  in aree già  martoriate come Bosnia-Erzegovina e Kosovo. Ma il vero fronte scoperto diventerebbe quello orientale. Già  a giugno, quando il governo di Cipro ha chiesto un prestito di 5 miliardi di euro alla Russia per tirarsi fuori dai guai almeno a breve termine, a Bruxelles ci si è chiesti perché non si fosse rivolto all’Unione Europea. Era chiaro che i vincoli chiesti dalla Commissione e dalla Bce costituivano un ostacolo. Ma era altrettanto evidente che quella mossa poteva segnare l’inizio di una penetrazione strategica della Russia.
Il caso cipriota verrebbe riproposto su scala maggiore se la Grecia si ritrovasse abbandonata a se stessa. La stessa Cina viene considerata uno dei poteri «esterni» decisi ad assicurarsi «vantaggi strategici, politici ed economici», secondo Heisburg, sfruttando un eventuale isolamento greco. Si tratta di spinte centrifughe ritenute ad alto rischio perché accentuerebbero la fragilità  dell’Europa centro-meridionale sul suo fronte orientale, rispetto alle mire di una Russia storicamente aggressiva; e di una Turchia sempre più potenza regionale. C’è chi comincia a chiedersi se su uno sfondo del genere, la stessa Alleanza atlantica sarebbe in grado di sopravvivere: anche perché un capitolo della «sfida dell’austerità » analizzata in un rapporto della Rand Corporation riguarda proprio la Nato. John Gordon, Stuart Johnson, Stephen Larrabee e Peter Wilson, i quattro analisti che ne sono gli autori, mostrano un indebolimento inesorabile e inevitabile dal punto di vista della proiezione internazionale dell’Europa; di più, dell’intero Occidente.
La Germania ridurrà  le spese militari di un quarto nei prossimi quattro anni. E sono previsti tagli alle forze armate anche di Francia, Italia, Germania, Spagna, Olanda e Polonia, più Gran Bretagna. Sono sette nazioni che costituiscono l’80 per cento del budget europeo per la difesa targata Nato. E determinano un’incognita sulle future missioni dell’Alleanza atlantica. L’Italia, che ha la seconda flotta del Mediterraneo, seconda solo a quella statunitense, sa che il 28 per cento dei tagli al bilancio della Difesa nel 2012 non è «una tantum»: sarà  seguito da altri. Insomma, la prospettiva più ottimistica, per gli Stati uniti, è che i suoi alleati, in testa Francia, Italia e Spagna, possano continuare a pattugliare e controllare il Mediterraneo nonostante i limiti crescenti di fondi. Se però nel futuro prossimo si dovesse ripresentare la necessità  di compiere operazioni militari come quella in Afghanistan o in Iraq, la previsione è che risulterebbero, di fatto, insostenibili dal punto di vista finanziario.
Se oggi a dettare legge è la geoeconomia, più che la geopolitica, qualunque iniziativa dovrà  misurarsi con un’Europa concentrata sulla propria sopravvivenza e quella delle proprie istituzioni. Si tratta di una tendenza non limitata ai prossimi due o tre anni, ma di lungo periodo. Questo spiega l’appoggio degli Usa di Barack Obama all’eurozona, non motivata solo dalla determinazione del presidente di rimanere alla Casa Bianca per altri quattro anni. Economia e sicurezza rimangono vistosamente intrecciati. «Uno dei paradossi di questa fase», fanno notare a Palazzo Chigi, «è che come medici interessati almeno quanto noi alla guarigione dell’Europa dalla crisi finanziaria ci sono Gran Bretagna e Stati uniti, da sempre diffidenti verso la costruzione europea e le sue istituzioni». Sanno che un collasso economico dell’area della moneta unica sarebbe anche il loro; e acuirebbe quello strategico, materializzando pericolosamente l’irrilevanza dell’Occidente.


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