Della Valle: dai leader Fiat poco rispetto per il Paese

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MILANO — Non arretra di un passo Diego Della Valle nelle sue pesanti critiche alla Fiat, all’amministratore delegato Sergio Marchionne e al presidente John Elkann (maggiore azionista con la Exor) dopo l’annuncio del Lingotto di abbandonare il piano Fabbrica Italia – 20 miliardi di investimenti per raddoppiare entro il 2014 la produzione in Italia.
Venerdì scorso in una lettera aveva attaccato i vertici Fiat definendoli «inadeguati» e «furbetti cosmopoliti»; ieri sera è tornato sull’argomento all’Infedele su La7 concentrando gli attacchi soprattutto contro la famiglia Agnelli, che «ha ricevuto un grandissimo aiuto negli ultimi decenni dal governo, dai cittadini e dai lavoratori che ora rischiano il posto». Insomma la Fiat «è un’azienda privata» ma che «si può definire anche pubblica» e dunque non può dire che «un piano strombazzato ai quattro venti non può più essere attuato dalla sera alla mattina», «scappando alla chetichella». Al contrario la famiglia Agnelli «ha il dovere di fare tutto il possibile per la gente che lavora nelle loro aziende». Come? «Si metta le mani in tasca e investa»; altrimenti «torni a fare quello che ha sempre saputo fare meglio: ottime sciate, ottime veleggiate, torni a giocare a golf e lasci i problemi dell’Italia alle persone serie», cioè — nella visione di Della Valle — agli imprenditori piccoli e medi che rischiano. Nel mirino c’è soprattutto Elkann: «Lo conosco fin da bambino, è un ragazzo giovanissimo, che ricopre un ruolo per il quale non ha l’esperienza e che lo porta a fare molti errori. Purtroppo in quella famiglia bisogna parlare con lui». Toni sempre forti, per i quali era stato criticato da Luca Cordero di Montezemolo, presidente Ferrari e socio di Della Valle nei treni Ntv: «Con Luca siamo compagni e non compari. Ognuno pensa con la propria testa».
Per Della Valle quella contro la Fiat e gli Agnelli rappresenta la lotta contro «quel mondo che comandava le aziende con lo 0,5%, un mondo che sta per finire». In questo contesto si inserisce anche la crescita, annunciata ieri, dentro la Rcs (che edita Il Corriere della Sera), dopo essere uscito polemicamente dal patto di sindacato, di cui la Fiat ha il 10,29%: «In Rcs (di cui ufficialmente Della Valle ha il 5,5%, ndr) non sono mai stato tranquillo e contento come ora, la mia volontà  è sempre stata quella di crescere, siamo cresciuti e anche molto negli ultimi mesi nel rispetto delle regole. Le autorità  competenti lo sanno, i vertici Rizzoli lo sanno. Perché ritengo che le aziende vanno amministrate dai proprietari».
Ma anche Marchionne ha le sue responsabilità , sostiene Della Valle. «Il problema è che non fanno belle macchine. Quando le fanno, come la 500 o le Ferrari, le vendono. Marchionne dovrebbe dire: abbiamo fatto degli errori, ora vogliamo fare qualcosa per il Paese». Ma nel governo, attacca Della Valle, non ci sono interlocutori: «C’è un ministro che aspetta trepidante una telefonata (il riferimento è al ministro del Welfare, Elsa Fornero, ndr); ma è un modo di avere rispetto per il Paese?». La parola dunque è al governo, ieri incalzato anche dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi («Un grande Paese industriale non può non avere un’industria automobilistica forte») e dall’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi: «Insostenibile perdere il settore dell’auto».
Fabrizio Massaro


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