L’elettroshock della moralità 

Loading

E quanto tempo ancora ci vorrà  affinché l’indignazione e le dichiarazioni di principio lascino posto, finalmente, a pratiche politiche alternative? Alternative non perché ci devono portare verso chissà  quale città  ideale, ma nella forma e nello stile di praticare la politica, con onestà  e senso del limite: è questo il “grande progetto” di cui c’è bisogno. L’alternativa è nel modo di concepire la moralità  della politica rispetto a quella cinica sufficienza di chi crede che nulla di nuovo ci sia mai sotto il sole. In dosi massicce, questa visione fatalistica e corrosiva della responsabilità  ci è stata lasciata in eredità  dalla Prima Repubblica e dalla sua fine ingloriosa, per ingigantirsi con gli anni, coprendo come una ragnatela tutto il Paese, da nord a sud, e tutte le generazioni. Né si tratta della sola eredità .
Vale la pena ricordare che la Seconda Repubblica è stata inaugurata dalla decapitazione di quasi un’intera classe dirigente per mano della giustizia penale, non di quella politica. Quella faraonica politica delle grandi opere pubbliche che ha foraggiato ingordi politici e imprenditori senza scrupoli (e che preferivano non rischiare la competizione) non è stata rovesciata nelle sue fondamenta. A cambiare è stata una classe dirigente, non la politica (i tentativi troppo poco incisivi e troppo brevi dei governi Prodi non sono bastati a favorire questo cambiamento). La politica non si è allenata abbastanza nel lavoro dell’autocritica, del ricambio del personale e della riscrittura dei codici morali. E di questa debolezza la Seconda Repubblica si è alimentata. Nuovi tessuti fatti con stoffe riciclate. Stessi disvalori, ma ora coperti dietro il giustizialismo roboante e, questo sì, moralistico. Con l’esito prevedibile che le ragioni che portarono
la vecchia classe politica al collasso non vennero toccate. Enrico Berlinguer parlò di “questione morale” e venne sommerso dalla critica, quasi unanime, di moralismo. La sua morte ha sepolto insieme alla sua denuncia anche la riflessione sulla differenza tra morale e moralismo, sul perché una democrazia non può fare a meno della morale, la quale è basilare e indispensabile consapevolezza della differenza tra il giusto e lo sbagliato, un giudizio che deve poter operare quotidianamente, nel pubblico e nel privato, e senza il quale la giustizia è la ragione del più forte.
La Seconda Repubblica è nata su questa massima. Aggravata dall’arroganza dei nuovi caporali nel voler togliere ogni ostacolo dalla loro strada, prima di tutto quello che aveva fatto saltare la Prima Repubblica, la giustizia. Conosciamo la storia di questi ultimi anni. I governi Berlusconi hanno impostato il loro successo su un attacco durissimo alla magistratura, alla stampa, e a ciò che restava della forma partito. Domare la prima, imbavagliare la seconda, e fare del partito un’azienda. L’antipolitica si è strutturata su questi tre progetti, trampoli sui quali si sono arrampicati i gestori della Seconda Repubblica. Ammini-stratori pubblici che si rivelano lestofanti, enormemente esosi per le finanze sconquassate di un Paese sotto tenda d’ossigeno. La disoccupazione dilagante fa addirittura balenare ad alcuni l’idea di trattare la carriera politica come un lavoro, le cariche elettive come una fonte di stipendio.
C’è bisogno di nuova linfa, di una nuova generazione, di nuove facce… eppure si ha l’impressione che più che un cambiamento si auspichi una rotazione, come a voler a turno approfittare di quegli stessi privilegi. Questa è l’impressione che si ha leggendo delle nefandezze della nuova destra al governo della Regione
Lazio, o che si ebbe leggendo del sistema di corruzione della Lega. Vecchia musica con nuovi orchestrali. Il timore è che come la Prima Repubblica impregnò di sé la Seconda, quest’ultima lasci il suo marchio su quel che verrà ; il sospetto è che la proclamata rigenerazione della politica consista in un rinnovato vecchio modo di gestire il potere. A prescindere dall’età  dei praticanti.
I cittadini hanno buone ragione di dirsi scettici delle promesse. Scettici delle dichiarazioni di rinnovamento radicale — un proposito che concretamente non si sa proprio in che cosa debba consistere se non nel rispetto, appunto, della legge e delle regole. È sano avere diffidenza in chi opera in nostro nome nelle istituzioni, sano non dare cambiali in bianco a chi si candida con la promessa di promuovere rinnovamenti epocali e fare piazza pulita del vecchio. Anche perché tra i lasciti della Seconda Repubblica vi è come ho detto l’erosione di legittimità  dei partiti politici, di quei corpi intermedi capaci di tenere insieme partecipazione e rappresentanza, di impedire che il potere degli eletti diventi quasi assoluto, arbitrario e incontinente. Senza questi strumenti di sorveglianza politica, la diffidenza e l’indignazione sono come grida al vento: muovono l’aria ma non la risanano. Movimenti salvifici non ce ne sono, e nemmeno (per fortuna) uomini della provvidenza. Se di un elettroshock c’è bisogno, questo non potrà  che significare ritornare a far parlare i princìpi del nostro vivere civile, la costituzione e le leggi, con la consapevolezza che la differenza tra il giusto e lo sbagliato ha un senso non sofistico e relativo a chi ha potere, e che chi fallisce si deve ritirate. Questa è la moralità  della politica, normale e ben poco eroica come si vede; eppure sembra richiedere leader eccezionali e interventi straordinari.


Related Articles

Monti: il mio è un esecutivo politico

Loading

«L’Italia ha accettato di fare sacrifici». Nel «tour» europeo incontra 5 commissari Ue

“Subito la legge sullo ius soli e stop al reato di clandestinità ”

Loading

Ma contro Kyenge insorge il Pdl Letta: “Temi importanti, non so se troveremo l’intesa”  

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment