MARTINI: SEGIO,HA ACCELERATO FINE LOTTA ARMATA

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(ANSA)- ROMA, 2 SET- “Mettersi in mezzo e sarà  pace”. E’ questo il ‘credo’ che ha mosso il cardinal Martini sia quando ha ‘lavorato’ per la pace tra Israele e Palestina sia negli ‘anni di piombo’. Il suo aver accettato le armi dai terroristi ha significato aprire il dialogo e accelerare la fine della lotta armata. Ad affermarlo è Sergio Segio, ex leader di Prima Linea, che domani andrà  al funerale di Martini. “L’ho conosciuto -racconta all’ANSA – negli anni del terrorismo, una volta che venne a San Vittore a celebrare messa”. “Nel 2000 poi – aggiunge – gli scrissi assieme a Sergio Cusani per sottoporgli la nostra proposta di amnistia in occasione del Giubileo, lui ci rispose, apprezzando e indirizzandoci al cardinal Ruini”. “Il suo ‘mettersi in mezzo e sarà  pace’ -spiega Segio – era l’invito a guardare anche al dolore dell’altro e non solo al proprio. Quando pronunciò quella frase si riferiva all’eterno conflitto israelo-palestinese, lui che aveva significativamente scelto, dopo Milano, di abitare a Gerusalemme. Ma quella sua filosofia ed esortazione voleva avere, e ha tuttora, una validità  generale”. “L’ha avuta pure – aggiunge – negli anni Settanta-Ottanta, quando il Cardinale scelse e accettò di ‘mettersi in mezzo’ tra un movimento crescente di militanti che ripensavano la propria storia e volevano abbandonare la strada della lotta armata e uno Stato arroccato in una posizione di fermezza e ‘irriducibilità ‘, per certi versi speculare a quella delle BR. Erano i primi anni Ottanta del secolo scorso, vigeva l’impianto giuridico e carcerario dell’emergenza antiterrorismo e il trattamento duro nelle carceri speciali” sottolinea Segio. “In quelle carceri speciali si moriva -dice – così come ancora nelle strade, nei colpi di coda di una lotta armata sconfitta ma ancora pericolosa”. “La consegna simbolica di un quantitativo di armi in possesso dei militanti in quel momento processati a Milano nel procedimento contro Prima Linea e i CoCoRi, fu – ricorda Segio – il nostro modo di dire che la spirale della violenza si poteva interrompere, purché si sapesse e volesse cominciare un confronto e aprire un dialogo”. “Nelle Aule in quel momento non era possibile -spiega l’ex leader di Prima Linea – per la chiusura della magistratura dell’emergenza. Occorreva farlo nella società , tra le forze vive e disponibili della città “. “Il Cardinale Martini, al solito costruttore di ponti, accettò di ‘mettersi in mezzo’. Contribuendo così a dare un’indispensabile sponda a quel fragile movimento carcerario, che i magistrati volevano spingere alla delazione (‘o collaborate o morirete in galera’, usavano ripetere a quel tempo negli interrogatori, tertium non datur) e i brigatisti volevano zittire con i ‘boia delle carceri’, che uccidevano chiunque fosse sospetto di resa o collaborazione”. Secondo Segio, dunque “quel gesto generoso di Martini sicuramente accelerò la fine della lotta armata e contribuì a dare speranza e un nuovo progetto a migliaia di giovani incarcerati”. La vicinanza alle carceri è stata una costante per il Cardinale. “Espressa -prosegue Segio – con scelte impopolari, ma soprattutto attraverso l’elaborazione di un corpus di pensiero autenticamente radicale e perfettamente omogeneo al messaggio evangelico:’Il cristiano non potrà  mai giustificare il carcere, se non come momento di arresto di una grande violenza’. ‘Nella colpa c’è già  la pena’”. “Perciò, assieme all’espressione del dolore per la scomparsa di Martini, voglio fare un invito – conclude – che nelle carceri, da parte dei reclusi, e all’esterno, da parte degli ex militanti della lotta armata che hanno terminato la propria condanna, si effettui un momento di silenzio e affettuoso ricordo in memoria di un grande e coraggioso Cardinale”. (ANSA).


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