“Ilva, lo spegnimento costerà  mille esuberi”

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TARANTO — Novecentoquarantadue persone in esubero immediato. Ricollocate, se si farà  come dice l’azienda. Chissà , se invece prenderanno tutto in mano i custodi. Passa dal primo numero ufficiale sulla forza lavoro e dalla parola “esubero” fin qui mai utilizzata la seconda fase della vicenda Ilva. Ieri l’azienda ha pubblicamente risposto alla procura che sabato aveva inviato un ultimatum: cinque giorni per avviare le procedure di spegnimento, oppure facciamo da soli. «Noi stiamo collaborando, abbiamo dato seguito alle prescrizioni, da Taranto non ce ne vogliamo andare» ha spiegato ieri Adolfo Buffo, il nuovo direttore dello stabilimento, dopo l’arresto del suo predecessore, mandato davanti ai giornalisti con la tuta da lavoro. Ilva ha elencato tutte le iniziative prese da quando è scattato il sequestro, a conferma del fatto – dicono – che non è vero che l’azienda non sta collaborando con la magistratura.
A sostegno della bontà  del ragionamento, hanno anche portato tutta la documentazione che certifica il dialogo con i custodi. In una di queste lettere il presidente dell’Ilva, il prefetto Bruno Ferrante, scrive che «con la fermata dell’Altoforno 1 e delle batterie 5-6, l’Ilva ha previsto un esubero di 942 unità  lavorative che però saranno completamente ricollocate o utilizzate in maniera differente nello stesso stabilimento di Taranto». Il piano di gestione del personale e degli esuberi previsto dall’Ilva quindi, per l’attuazione delle prime misure rientranti tra le disposizioni prioritarie, sottolinea Ferrante, «consente il fermo dell’Altoforno 1 senza che vi siano impatti negativi sui livelli occupazionali».
Ma è proprio quel piano che non convince affatto la procura che, così come disposto dal giudice e dal Riesame, spinge perché si blocchi la produzione e quindi si interrompano le emissioni inquinanti. Né tantomeno le spiegazioni date ieri ai giornalisti possono far cambiare le carte in tavola: quelle carte erano note e dunque erano state analizzate dai custodi e dai magistrati che evidentemente le avevano ritenute non sufficienti. Nelle prossime 48 ore è possibile che le parti proveranno a parlarsi. Dopodichè tra giovedì e venerdì si capirà  che piega prenderà  questa storia: la procura è stata chiara nel dire che se l’Ilva non metterà  a disposizione personale e fondi per fare quanto imposto dal giudice, procederà  in autonomia.
Una possibilità  che preoccupa molto la politica. Al ministero dell’Ambiente si fa la corsa per rilasciare la nuova Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale che permette al siderurgico di lavorare. Oggi è prevista una prima riunione, entro l’11 i tecnici dovranno esprimersi in vista della conferenza di servizi fissata per il 17. Con il documento il ministro Corrado Clini è convinto che si riuscirà  a evitare il muro contro muro che a molti altri invece pare ormai avviato e non più evitabile. «L’Ilva sta facendo un gioco pericoloso: quello di lasciare o nelle mani della magistratura o nelle mani della politica il cerino acceso» ha detto ieri il governatore della Puglia, Nichi Vendola. Mentre l’aria nel mondo sindacale è molto tesa. «Non sono per nulla ottimista. La priorità , adesso, è che non si fermi la produzione » ha dichiarato il segretario della Uil, Luigi Angeletti. Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, parla invece di «un piano B per mantenere la produzione integra e nel frattempo proseguire la bonifica». Più rigida la posizione della Cgil: per Susanna Camusso, il caso Ilva «ci porta indietro di molti anni perché ripropone l’equazione che si faceva tra impianti chimici e danni ecologici ». Domani partono le assemblee in fabbrica organizzate da Fim e Uilm («purtroppo l’azienda si ostina a non rispondere compiutamente alle prescrizioni della procura – dice senza mezzi termini Mimmo Panarelli, segretario provinciale della Fim -Questo atteggiamento lascia zone d’ombra sulle reali intenzioni della proprietà  sul futuro della fabbrica»). Non parteciperà  la Fiom che ha invece elaborato una piattaforma rivendicativa che sottoporrà  ad un referendum tra i lavoratori.


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