L’ospedale in ammollo

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BERGAMO. Pare proprio che Roberto Formigoni quel nastro non farà  in tempo a tagliarlo. Prima di essere travolto dallo scandalo dell’ndrangheta al Pirellone, il Celeste presidente dichiarava che sull’inaugurazione entro l’anno del nuovo ospedale di Bergamo «ci avrebbe messo la faccia». Promessa a rischio zero per uno che la faccia se l’era già  giocata da tempo, mutandola in «tolla», che in dialetto milanese significa latta e che un proverbio lombardo considera più preziosa dell’oro. O, almeno, più utile a stare al mondo.
Oro o latta, il governatore ora in disgrazia ha gestito per quasi vent’anni il potere lombardo trasformando la sanità  nel principale mezzo (affaristico) del proprio fine (politico). Tenendo così incollati come amanti due soggetti inizialmente tanto diversi come Cl e Lega. L’abbraccio costitutivo dell’era Formigoni. Ora che ha problemi più urgenti cui badare, il Celeste presidente non si preoccuperà  troppo delle sorti di un ospedale che doveva essere uno dei tasselli del suo impero e che, invece, sta diventando un complicato e costoso rebus. Perché il nuovo «papa Giovanni XXIII» è pronto da quasi due anni, ma non riescono a inaugurarlo, nonostante i 498 milioni di euro stanziati (e quasi tutti già  spesi) per aprirlo.
«E’ che l’han costruito su un acquitrino. Qui una volta c’era una palude, hanno trovato persino dei resti archeologici di palafitte. Me l’avessero chiesto li avrei avvisati… Anni fa qualcuno ha provato a piantare del riso: niente… tutto marcito, c’è troppa acqua persino per quello. Su quel prato non c’è mai cresciuto nulla, è una pozzanghera». In località  La Trucca, la zona più bassa di Bergamo-bassa, lo sanno tutti da sempre, come testimonia il vicino-contadino: la falda acquifera è troppo alta, appena 70 centimetri sotto la superficie del terreno. Ed è per questo che quell’area era rimasta vuota, in un comune ad alta cementificazione, in un territorio dove non si lascia vuoto nulla e tutto viene messo «a valore», dove si usa ogni centimetro quadrato per costruire, coltivare, produrre. Per lavorare, insomma; e «con fatica», che altrimenti non vale, come insegna madre chiesa, la più indiscutibile tra le istituzioni orobiche.
Sarà  per motivi di spazio o per troppa fede, nel 1996 la giunta di centro-sinistra, sindaco Guido Vicentini, lunga militanza democristiana e cislina – con il sostegno di tutte le forze politiche e l’unico voto contrario del Prc – rinnega il piano regolatore, ignora il parere di chi l’ha redatto e per il nuovo ospedale abbandona la più sicura e asciutta area della Martinella a favore del vecchio acquitrino: lì dovranno trovar posto un migliaio di posti letto, laboratori, sale operatorie, uffici e servizi vari (compreso l’immancabile auditorium e l’inevitabile casa dei frati), dando una sede al nuovo «Papa Giovanni XXIII», perché il precedente viene considerato troppo vecchio per essere ristrutturato. Sarebbe costato troppo, almeno stando a quei calcoli che stabilivano in 340 milioni di euro il costo massimo di spesa – tre quarti a carico della regione -, nuovi arredi e attrezzature comprese.
Oggi, a struttura ancora chiusa, la spesa è arrivata a quota 498 (senza contare i 40 milioni sborsati da comune e provincia per strade e parcheggi), mentre la storica area del vecchio ospedale (costruito negli anni Venti, con palazzine d’epoca e parco) è destinata al nulla: sfumata la convenzione con l’Università , andata deserta l’asta per la sua vendita (prezzo base 95 milioni), quando (e se) sarà  liberata da letti e sale operatorie, rischia di cadere nell’abbandono: l’attuale amministrazione già  mette le mani avanti, prepara future campagne d’ordine o chiede soldi lanciando allarmi su schiere di barboni, tossici ed extracomunitari pronti all’assalto.
La Trucca nell’acqua
Ma torniamo a La Trucca e all’anno domini 2000, quando viene firmato l’accordo di programma per avviare l’acquisto dei terreni, l’assegnazione degli appalti e l’avvio dei lavori. La vecchia palude «su cui nulla cresce» ha una superficie di 320.000 metri quadri, è divisa in una serie di lotti con tanti padroni e padroncini che di quella terra non sanno che farsene perché nulla se ne può fare. Tra essi il soggetto più «pesante», proprietaria di un bel po’ di particelle, coincide con il vero potere locale, la Curia bergamasca (con Comunione e Liberazione ben piantata al suo centro sotto la ventennale gestione di monsignor Roberto Amadei e la Compagnia delle Opere a gestire affari pubblico-privati), proprietaria – per dirne una – dell’Eco di Bergamo, uno dei più importanti giornali locali italiani, quello che non può mancare in nessun bar, ristorante, albergo e abitazione, se non altro per leggere i necrologi. Sarà  per caso o sarà  per fede, i proprietari dei terreni acquitrinosi sono ben contenti di vendere all’azienda ospedaliera bergamasca, intascando – complessivamente – almeno una dozzina di milioni di euro.
Nel 2004 viene indetta la gara d’appalto per la costruzione degli impianti principali, su un progetto degli architetti Traversi (Bergamo) e Taddia (Milano), associati alla parigina Scau e sotto l’ombrello dell’Ets spa di Donato Romano che diventerà  direttore dei lavori. Romano è un’autorità  nel campo delle costruzioni pubbliche: per farsene un’idea basta leggere le cronache della costruzione delle new town a L’Aquila, dove la sua ditta figura tra le principali appaltanti delle casette fortemente volute da Bertolaso e Berlusconi. L’ingegner Romano è in prima fila a Cese di Preturo nella foto di gruppo con il responsabile della Protezione civile, il 29 settembre del 2009, alla consegna delle C.A.S.E., le costruzioni – simili a palafitte, ma con i garage al posto dell’acqua – in cui il governo ha voluto piazzare i terremotati aquilani. Nell’occasione il presidente del consiglio per premiare e festeggiare il proprio compleanno elogia i «bravissimi bergamaschi» omaggiandoli di dedica sul caschetto giallo d’ordinanza («Evviva, 29 settembre 2009, Silvio»). «Casco che – si legge in cronaca – verrà  prontamente messo all’asta per raccogliere ulteriori fondi pro-terremotati» (dalle medesime gazzette, successivamente, non è dato sapere l’esito dell’asta presidenziale).
Il progetto per il nuovo ospedale della cordata Traversi-Taddia-Scau-Ets viene però contestato dalla società  seconda arrivata che sostiene l’impossibilità  di realizzare con «soli» 340 milioni di euro tutte le opere previste, comprese quelle necessarie a «mettere sotto controllo, raccogliere e canalizzare le acque» sottostanti, cioè isolare gli edifici dalla palude. Oggi lo stesso vice presidente della regione Lombardia – Carlo Saffiotti, che di professione fa il medico – ammette che quella cifra era insufficiente per realizzare i lavori previsti, ma ai tempi il Tar respinge il ricorso, l’azienda ospedaliera bergamasca e la regione Lombardia sono ben contente di andare avanti.
Passa un anno e nel maggio 2005 viene firmato il contratto che affida all’Ati-Dec dei fratelli De Gennaro la costruzione delle opere principali e la loro manutenzione per ventidue anni. Come i progettisti, anche i costruttori sono esperti in opere pubbliche e ospedali. Daniele e Gerardo De Gennaro, baresi, legati al Pd pugliese (dal 2010 Gerardo è anche consigliere regionale del partito di Bersani), politicamente legati al sindaco di Bari, Michele Emiliano, nell’ultimo decennio hanno fatto fare all’impresa di famiglia il salto di qualità  delle grandi opere pubbliche, fino a diventare la principale impresa di costruzioni del Mezzogiorno. Fino all’arresto per corruzione e truffa nel marzo di quest’anno, che ha mandato ai domiciliari i fratelli De Gennaro coinvolti in un’inchiesta sulla costruzione di alcuni posteggi sotterranei a Bari. Fino allo stato pre-fallimentare in cui versa ora la Dec.
Fine lavori, mai
Pronto il progetto, respinti i ricorsi, appaltata l’opera, nella piana di La Trucca i lavori iniziano nell’autunno 2005, la consegna è prevista per il maggio 2011, l’apertura nell’autunno 2011. Sulla carta sarebbero undici anni abbondanti, da quando sono stati stanziati i fondi. Un anno in più della costruzione del Colosseo, confronto che a Bergamo non considerano un vanto. Ma il problema vero è che nulla sarà  come previsto. I tempi si dilatano come i costi che lievitano fino a quasi 500 milioni – i 340 «iniziali» erano stati definiti «invalicabili» – anche perché, inaspettatamente, si gonfiano le richieste di nuovi arredi e impianti sanitari – aggiuntivi a quelli previsti e a quelli già  presenti nel vecchio ospedale – che portano a nuove delibere e stanziamenti regionali. Ma, soprattutto, scoppia il problema acqua. A edifici ormai costruiti si scopre che con la pioggia l’acqua sale con continue infiltrazioni nella struttura, al punto che risultano intaccatte le basi dei pavimenti, deformato il linoleum che li copre, ammuffite le pareti più basse. Si deve intervenire per sistemare o sostituire le parti danneggiate e si scopre che serve una «trincea» drenante, una sorta di fossato medioevale tutto attorno all’ospedale per raccogliere – grazie ad alcune pompe che vanno a ciclo continuo – l’acqua che sale e tenere sotto controllo la sottostante falda. Un’opera «imprevista» – costo 1.220.000 euro – che era stata giudicata inutile al momento della progettazione (ignorando le osservazioni dell’impresa arrivata seconda nella gara d’assegnazione), la cui realizzazione viene affidata nel novembre 2011 alla stessa Ati-Dec, senza nemmeno ricorrere a gara d’appalto, «vista l’urgenza». Nel frattempo sono andate in scena ben quattro edizioni dell’open day (aprendo il cantiere ad autorità  e popolazione come surrogato dell’inaugurazione vera e propria), decine di interviste a tv, radio e giornali locali per fissare ogni volta una diversa data d’apertura (l’ultima annuncia l’inizio del trasloco a fine ottobre e l’apertura entro la fine del prossimo novembre), decine di interrogazioni regionali sullo stato dell’arte (in particolare quelle di uno scandalizzato Gabriele Sola, dell’Idv), un bel po’ di pubbliche denunce (su tutte quelle dell’avvocato Roberto Trussardi, a suo tempo consigliere comunale e unico voto contrario alla costruzione dell’ospedale a La Trucca). E, intanto, la Dec (che dovrebbe anche curare la manutenzione per ventidue anni) dopo le disgrazie giudiziarie dei fratelli De Gennaro è sull’orlo del fallimento (è in corso una procedura di concordato), non paga più le ditte subappaltatrici e ha aperto un contenzioso con l’azienda ospedaliera: uno scontro in cui si rimpallano le responsabilità  di ritardi e disastri, con cause per alcune decine di milioni. Ma, soprattutto, l’acqua è sempre lì, le infiltrazioni continuano nonostante fossato, pompe e laghetto. E manca ancora il collaudo finale, senza il quale nessuna apertura è possibile.
A La Trucca prima o poi qualcuno riuscirà  a tagliare quel nastro, per aprire almeno qualche laboratorio e dare un senso di razionalità  a una storia un po’ folle. Magari non sarà  Roberto Formigoni. Ma l’ombra della sua «era» sarà  lì, ben visibile in una struttura costata il doppio del previsto, che ha fatto la fortuna di pochi suscitando l’ironia o il disgusto dei più, che sarà  difficile e molto costoso mantenere efficiente o – semplicemente – asciutta. Perché la terra ha le sue leggi e non se ne può fare ciò che si vuole. Nemmeno con la benedizione della Curia.
(1-continua)


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