Fiat, 19 licenziati a Pomigliano per riassumere le tute blu Fiom

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TORINO — La Fiat licenzia a Pomigliano. Nella nuova fabbrica dove si produce la Panda non c’è spazio per i 19 operai iscritti alla Fiom che la Corte d’Appello di Roma ha imposto all’azienda di assumere per sanare l’evidente discriminazione di uno stabilimento dove è stata praticata una sistematica esclusione nei confronti dei tesserati alla Cgil. Dunque, se entreranno 19 iscritti al sindacato di Landini, verranno licenziati altrettanti attuali dipendenti non iscritti ai sindacati o aderenti a quelli che hanno firmato gli accordi con Marchionne.
Invano nelle scorse settimane i legali del Lingotto hanno cercato una strada per rinviare gli effetti della sentenza della Corte d’appello. Ieri pomeriggio con un comunicato hanno dovuto alzare bandiera bianca: «L’impegno dell’azienda – si legge in un comunicato – è quello di individuare la soluzione che consenta di eseguire l’ordinanza creando il minor disagio possibile a quei dipendenti che hanno condiviso il progetto della Nuova Panda». Ma quell’impegno si tradurrà  nel loro licenziamento: ««Fabbrica Italia Pomigliano – prosegue infatti il comunicato – non può esimersi dall’eseguire quanto disposto dall’ordinanza e, non essendoci spazi per l’inserimento di 19 ulteriori lavoratori, è costretta a provvedere alla riduzione di altrettanti lavoratori operanti in azienda». A questo punto il Lingotto avrebbe potuto utilizzare lo strumento della cassa integrazione, che già  viene largamente sfruttato a Pomigliano perché la Panda non sta incontrando l’accoglienza di mercato che ci si attendeva. Invece la Fiat ha scartato l’ipotesi della cassa e ha annunciato «una procedura di mobilità  per riduzione di personale di 19 unità », uno strumento evidentemente punitivo, una sorta di lezione alla Cgil ma anche ai giudici della Corte d’Appello di Roma che hanno emesso la contesta sentenza.
La legge prevede che, senza l’accordo con i sindacati, la mobilità  scatti dopo 120 giorni dal suo annuncio. Difficilmente Fim e Uilm firmeranno il licenziamento di lavoratori che potrebbero anche iscritti alle due organizzazioni. Così la mobilità  scatterà  all’inizio di marzo. Nella lettera inviata ieri ai sindacati, i legali della Fiat affermano che l’attuale organico è conseguenza di «un assetto stabile a due turni» per la «perdurante crisi del mercato europeo». Dunque non si intravedono a breve altre assunzioni nonostante l’impegno preso dalla Fiat con i sindacati di riassorbire entro il luglio 2013 tutti i cassintegrati della vecchia fabbrica di Pomigliano. Oggi rimangono ancora da assorbire circa duemila dei 5.500 originari dipendenti della fabbrica napoletana (tra i quali tutti gli iscritti alla Fiom).
Immediate le reazioni dei sindacati e della politica. La Cgil parla di «inaccettabile ricatto», mentre per Raffaele Bonanni della Cisl quanto accaduto è «il risultato di un gioco al massacro» condotto dalla Fiom. I dirigenti sindacali di Fismic e Uilm di Pomigliano hanno comunque annunciato che non intendono firmare licenziamenti collettivi. Condanna anche dal Pd. Dal responsabile economico, Stefano Fassina, che parla di «ritorsione», dal comitato Renzi che accusa «Marchionne» di «scaricare le sue difficoltà  sui lavoratori». Nichi Vendola accusa la Fiat di «tenere i dipendenti in ostaggio».
Il caso Pomigliano ha finito per mettere in secondo piano i dati di Fiat Industrial, resi noti ieri al termine del cda. E’ Cnh che trascina in alto i conti con l’utile che sale del 45 per cento a 297 milioni. Marchionne annuncia che «entro l’anno», si dovrebbe trovare l’accordo per la fusione tra Industrial e la società  delle macchine agricole.


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