SE UN SISTEMA ENTRA IN CRISI

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Protestare significa dichiarare pubblicamente, dare testimonianza, uscire allo scoperto, dire basta a qualcosa o a qualcuno. Non a caso il Lutero che disse “basta” alle malefatte di Santa Madre Chiesa fu detto “protestante”. La protesta, quando non sia solo un atto di negazione, è animata da uno spirito di rivolta che accompagna la volontà  di cambiamento ad una promessa di rinnovamento. L’humus che la genera e in cui prospera è la crisi politica, istituzionale, sociale, il discredito dei soggetti già  dominanti. Essa diventa acuta e protagonista in quelle che possiamo definire “crisi di regime”, intendendo per tali tanto i momenti estremi di crollo di un tipo di Stato quanto quelli che segnano la bancarotta di un blocco di potere e di un sistema partitico.
Orbene, siamo oggi in pieno nella quarta crisi di regime nella storia dell’Italia unita: dopo quelle che causarono la fine dello Stato liberale, dello Stato fascista, del blocco di potere Dc-Psi con Tangentopoli e il cedimento dell’intero sistema partitico sorto nel secondo dopoguerra. Ci troviamo di fronte all’esaurimento dell’informe Seconda Repubblica e nel confuso affacciarsi di una ancora del tutto indistinta Terza Repubblica, nella quale esplode la protesta. Una protesta, che ha trovato le sue
clamorose espressioni nelle recentissime elezioni siciliane, assumendo le vesti da un lato di un’astensione dalle urne dalle dimensioni senza precedenti e dall’altro del trionfo – che già  ha alle sue spalle una storia breve ma assai significativa – del movimento grillino. I movimenti di protesta politica e sociale sempre hanno dovuto e devono fare i conti con un passaggio molto delicato, complesso e difficile: dal no al sì, dall’attacco agli avversari alla dimostrazione di una propria costruttiva capacità  politica. È in questo che sta il loro redde rationem.
In proposito le lezioni del passato parlano chiaro. Le elezioni del 1919 furono un vero e proprio trionfo della protesta dei socialisti e dei popolari cattolici contro la classe dirigente liberale che andò incontro al fallimento a beneficio del fascismo; nel 1946 l’Uomo qualunque di Giannini, che, pur di dimensioni elettoralmente assai contenute, fece nondimeno gran fracasso in polemica con il ritorno dei vecchi partiti, finì per farsi trasformisticamente riassorbire da liberali, missini e democristiani; nel 1992-94 la protesta morale e politica contro Tangentopoli e il potere incarnato dal CAF entrato in coma, che vide protagonisti i movimenti referendari e la Lega, ebbe come principale atto conclusivo la vittoria elettorale di Berlusconi, che fece il miracolo di alleare quest’ultima, An e Forza Italia riuscendo a riciclare e rivitalizzare tanti ex democristiani ed ex craxiani, gettando le basi di una lunga palude.
E ora? Avanzano a grandi passi gli uomini di Grillo, mentre Berlusconi finalmente boccheggia, il Pdl è costretto a fare i conti con i suoi molti peccati e, purtroppo, il Centro-sinistra non va troppo male ma neppure troppo bene. La protesta degli elettori che in Sicilia hanno voltato la testa dinnanzi alla scheda e lo straordinario successo dei grillini – chiamati, appunto, ad un’ardua prova del nove – suscitano insieme preoccupazione e speranza: preoccupazione in quanto inequivocabile sintomo della quarta crisi di regime e speranza perché ci si augura che inducano le forze politiche nel loro insieme a comprendere per chi suona la campana e a trarne le debite e auspicabili conclusioni.


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