Troppi ritardi al Sud adesso risanare costa

Loading

Il taglio del rating dei titoli del debito pubblico francese era previsto. Ci ricorda pero’ quanto profonda e generalizzata sia la crisi dell’economia europea. La Francia ha una pubblica amministrazione che, per quanto invadente, è anche molto efficiente. Inoltre, ha un minore rapporto debito-Pil rispetto ad Italia e Spagna, il che le ha permesso di godere della liquidità  in fuga da questi paesi. La Francia ha però anche un’economia che soffre degli stessi limiti di quelle del resto del Sud Europa: un largo ruolo dello stato nell’economia (57% del Pil in spesa pubblica, tasse elevate) ed un mercato del lavoro duale, con larghe protezioni a una sempre minore frazione della forza lavoro e una elevata e cronica disoccupazione (10%).
Per queste ragioni la Francia non ha potuto evitare una drammatica perdita di competitività  internazionale e quindi una profonda crisi economica in tutto assimilabile a quella degli altri paesi del Sud Europa. A livello strutturale, un profondo riaggiustamento fiscale che liberi le risorse necessarie a che questi paesi tornino ad investire e a crescere appare assolutamente necessario. La Germania e la Svezia hanno operato tale riaggiustamento nel corso dell’ultimo decennio, associandolo a riforme anche dolorose dei sistemi di welfare e a ad una generale liberalizzazione del sistema economico. Ma il riaggiustamento della Germania e della Svezia è avvenuto in una congiuntura economica mondiale favorevole, in fase di sostenuta crescita (e, nel caso della Svezia, dall’esterno dell’Euro, senza vincoli di cambio). Una simile operazione oggi, nel mezzo della profonda recessione in cui si trova l’Europa e con un minimo traino da parte degli Stati Uniti, sarebbe invece molto più difficile e dolorosa.
Molti sono quindi coloro che sostengono che politiche di austerità  oggi siano indesiderabili, che sarebbe meglio attuare politiche espansive (o almeno non recessive) associate ad un riaggiustamento fiscale in futuro, a recessione terminata. Questa appare una posizione di buon senso: se riaggiustare bisogna, meglio quando fa meno male. Ma ci sono due problemi. Prima di tutto la recessione non viene dal cielo. Essa è in parte determinata dai mercati che temono della solvibilità  futura di alcuni paesi dell’eurozona o addirittura della sostenibilità  dell’euro. Un riaggiustamento fiscale e riforme profonde per la crescita potrebbero essere necessarie a convincerli ad allentare la presa. Se così fosse aspettare ad intervenire non farebbe che allungare la recessione. In secondo luogo, anche se la recessione terminasse indipendentemente, attendere per riaggiustare, nel contesto istituzionale italiano ma anche francese e spagnolo, oggi, significherebbe procrastinare ad libitum (o almeno fino alla prossima crisi). Questo non è un giudizio morale. Purtroppo, la tendenza a procrastinare è una proprietà  generale della politica economica che diventa patologica in alcuni contesti politici ed istituzionali. Non è caso né fortuna che la Germania e la Svezia abbiano saputo attuare le riforme nel momento più favorevole. L’Italia, la Francia e la Spagna hanno invece procrastinato, godendo dei bassi tassi di interesse prodotti dall’euro fino alla crisi conclamata. La Francia, forte del suo relativo vantaggio sui mercati finanziari rispetto al resto del sud Europa, ancora ieri allentava il rigore del proprio sistema pensionistico. Davvero crediamo che domani sarà  diverso?
Questo è il dilemma. Per queste ragioni non vedo vie d’uscita dalla crisi che non comportino un doloroso riaggiustamento fiscale oggi. Ma non tutti i riaggiustamenti sono uguali. Le economie di Italia, Francia, e Spagna necessitano di risorse che possano essere destinate alla crescita. Queste risorse sono al momento mal impiegate in una spesa pubblica improduttiva e sono ottenute a mezzo di imposizione fiscale fortemente distorsiva. Ad oggi, purtroppo, quello che abbiamo osservato, sono però politiche di inasprimento dell’imposizione, che hanno peggiorato la recessione in Europa senza alcun riaggiustamento dal lato della spesa e senza riforme di liberalizzazione per la crescita. Ancora una volta i governi procrastinano e l’Europa affonda.


Related Articles

Dossier lavoro, la stretta sul decreto Spunta l’acconto Irpef «rinforzato»

Loading

E il bilancio Ue complica la partita. Letta: scandalosi certi stipendi di manager pubblici

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment