I dubbi sul Professore rendono più chiaro il ritardo dei partiti

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Le indiscrezioni dicono che sarebbe orientato a non permettere la formazione di una lista in suo nome: per non creare attriti con il Quirinale, secondo alcuni suoi sostenitori. Anche se forse le ragioni possono essere fatte risalire sia alla genesi del suo arrivo a palazzo Chigi, sia al modo un po’ caotico col quale sta prendendo corpo l’area centrista.
Rimane un residuo di incertezza non piccola, sovrastata tuttavia da polemiche che lasciano capire i conflitti in incubazione se diventasse il candidato di fatto di una federazione «montiana». D’altronde, la vera cifra di questo finale del governo dei tecnici non è tanto la probabilità  o meno di un nuovo schieramento che si offre agli elettori. La novità  è un rimescolamento generale dai contorni tuttora nebbiosi. La frantumazione del centrodestra e il declino della leadership berlusconiana sono così evidenti che non si sa ancora con chi Silvio Berlusconi si alleerà ; e se alla fine sarà  candidato per la sesta volta.
Una Lega divisa quanto il Pdl cerca l’accordo ma pone come condizione che non sia il Cavaliere l’uomo su cui puntare. E stavolta a dare l’aut aut non è il segretario Roberto Maroni ma l’ex leader Umberto Bossi, da sempre sodale berlusconiano: al punto che non si capisce se lo faccia per mettere i bastoni fra le ruote del successore. È probabile che anche questa confusione finisca dopo la conferenza stampa di Monti in programma domani mattina.
Ma non si può prevedere se la prospettiva diventerà  immediatamente chiara. È come se le elezioni di fine febbraio arrivassero troppo presto. Peggio: il sospetto è che se anche si facessero ad aprile, coglierebbero impreparate forze politiche incapaci di rispondere alla transizione con proposte e schieramenti innovativi. Perfino il Pd di Pier Luigi Bersani, dato in netto vantaggio, per il fallimento della riforma elettorale ha scelto quasi per inerzia l’alleanza con il Sel di Nichi Vendola: un fronte di sinistra che sa di antico e può creare problemi anche in caso di vittoria sul piano internazionale. Le rassicurazioni fornite da Bersani nei suoi viaggi europei degli ultimi giorni servono a garantire che non ci saranno deragliamenti della politica economica.
Un minimo di diffidenza è destinato a rimanere. Un Monti orgoglioso di avere governato in tredici mesi «difficili ma affascinanti», ieri l’ha ribadito. «Non c’è Paese che possa decidere il suo destino da solo». E ancora: la scelta di «dedicare una gran parte del mio tempo al profilo internazionale corrisponde alla convinzione che la componente estera svolga un ruolo cruciale nell’economia italiana». Da tecnico a politico in pectore, andata e ritorno, verrebbe da dire. Eppure, se sceglierà  di mantenere il profilo istituzionale che alcuni temevano e altri speravano di vedergli cambiare, l’immagine datata del sistema politico e dei partiti sarà  ancora più nitida.


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