L’antidemocrazia elettorale

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Chissà  quali saranno stati gli «altissimi meriti nel campo sociale artistico scientifico e letterario» con cui un presidente della Bocconi, ex commissario europeo e consulente di Goldman Sachs che non pubblica un rigo scientifico da decenni, avrebbe «illustrato la Patria».
Oggi, dimessosi sui giornali il commissario tecnico, la legislatura vede un’accelerazione bruciante e insensata che ha come ragione ed effetto unico, di perpetuare una legge elettorale che semplicemente sottrae la sovranità  al popolo. Si sapeva che il porcellum è voluto da tutte le segreterie di partito e anche dai capi carismatici (Grillo incluso), perché concentra nelle loro mani quei pochi residui di sovranità  di cui ancora gode la semiperiferia italiana. Ma il capolavoro di ipocrisia inscenato a Palazzo ha qui superato se stesso. Per mesi a insistere perché la riforma elettorale si facesse e poi, per assecondare il capriccio di un premier pupillo troppo arrogante e timoroso per rischiare di essere impallinato in parlamento, eccolo anticipare il fine legislatura addirittura a fine 2012. Offrendo ai partiti la scusa di non aver avuto il tempo di completare la riforma elettorale su cui erano al lavoro da tempo e soprattutto facendo saltare i referendum sul lavoro.
Gioverà  ricordare che in vigore è la Costituzione italiana del 1948 e non lo Statuto Albertino di cent’anni più vecchio, (bellissime erano state a questo proposito le parole del professor Cordero su la repubblica prima della sentenza acclamata da tutti sull’immunità  assoluta della «sacra voce») sicché riformare il porcellum non è un octroi ma una precisa indicazione della Corte Costituzionale. La Consulta per ben due volte, nelle sentenze 15 e 16 del 2008, ebbe a dire al parlamento che, pur non potendo in sede di giudizio di ammissione dei referendum (Guzzetti-Segni) operare una vera e propria declaratoria di incostituzionalità , tuttavia si sentiva di raccomandare di metter mano a questo grave vulnus costituzionale che inficia la rappresentanza. Secondo la Corte il porcellum fra l’altro, proprio come la famosa legge truffa degli anni ’50, attribuisce un premio di maggioranza eccessivamente distorsivo, slegato da requisiti minimi in termini di voti e di seggi. Chi come Napolitano ha «prestato giuramento di fedeltà  alla repubblica e di osservanza della Costituzione» di fronte al parlamento in seduta comune (art. 91 Cost.) dovrebbe rispettare religiosamente le forme prescritte dalla Costituzione e dalla prassi costituzionale. Innanzitutto il Presidente dovrebbe sciogliere le camere soltanto dopo aver verificato la mancanza di un’alternativa, seppur «balnear, al presidente del consiglio dimissionario. Qui invece l’intera crisi è condotta solo mediaticamente e risponde all’orologeria tecnocratica dello spread (basta vedere la santificazione europea di Monti). Nella sostanza poi egli dovrebbe astenersi dal porre in essere un atto che per la sua tempistica repentina svuota la possibilità  parlamentare di adempiere all’obbligo costituzionale di riformare una legge elettorale antidemocratica, fa saltare i referendum e rende praticamente impossibile a formazioni politiche non ancora dotate di rappresentanza parlamentare o di organizzazione già  sufficientemente robusta di poter offrire all’ elettorato un’alternativa anti-sistemica autorevole e credibile.
Per queste ragioni insieme ad Alberto Lucarelli e Alessandra Quarta, stiamo studiando le possibilità  di impugnare, con sospensiva di fronte al Tar del Lazio, il provvedimento di scioglimento delle camere e di indizione dei comizi. Vogliamo così investire in via incidentale la Corte Costituzionale dandole la possibilità  quanto meno di “manipolare”” la legge elettorale riportandola a canoni di decenza costituzionale. La partita si giocherà  in gran parte sulla «legittimazione ad agire», perché sarà  impossibile dichiarare la «manifesta infondatezza» della questione viste le sentenze 15 e 16.
Chiedo perciò subito alle assemblee di “Cambiare si può” di invitare ogni soggetto politico che in esse si riconosce a conferirci il mandato per questo nuovo tentativo di affermare, per via giudiziaria, quel grande manifesto politico che, per dirla con Settis, è la Costituzione vigente. E alle stesse rivolgo un altro appello: non cadiamo a nostra volta nella logica perversa della società  dello spettacolo, sol per ricercare un po’ di visibilità  mediatica che per giunta travolge il senso politico della nostra operazione. Il movimento arancione non nasce dalle battaglie per la legalità  funzionale alla crescita e dalla retorica antiberlusconi (di cui purtroppo grondava l’appello di Ingroia a Bersani). Le nostre radici sono più profonde e alternative a quella visione. Esse stanno in movimenti, dall’acqua al Notav alle occupazioni dell’arte, alla tutela del territorio e dell’informazione che vanno ben oltre quelle tematiche e che indicano la strada per una repubblica dei beni comuni. Individuiamo insieme, (se proprio dobbiamo farlo visto il porcellum) un candidato presidente del consiglio (e una squadra) in cui si identifichino quelle battaglie di movimento e che sappia comunicare, con onestà  autorevolezza e coraggio con quei mondi. Senza i media e senza i soldi abbiamo già  vinto i referendum del 2011 coinvolgendo 27 milioni di persone. Per entrare in parlamento ce ne bastano un paio. La forza del coraggio e della verità  è più che sufficiente. Non vale la pena di svendere i nostri temi sul mercato mediatico.


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